Descrizione
Serie di ventisette riquadri in seta, lino, argento e oro filato, lavorati a or nuè, di quattro diverse dimensioni, di forma rettangolare con profili irregolari, nove di formato orizzontale e diciotto verticale, raffiguranti altrettanti episodi della vita san Giovanni Battista e posti a ornamento di un parato in broccato di seta bianco intessuto d’oro, oggi perduto, e composto, secondo le fonti, da una pianeta, due dalmatiche (una del diacono e una del suddiacono) e un piviale. I ricami superstiti, secondo la cronologia della narrazione, sono così oggi ordinati nel museo:
Pianeta, fronte (dall’alto verso il basso):
1.Annuncio a Zaccaria: il formato è orizzontale; al centro si vede Zaccaria, anziano sacerdote, sta celebrando all’interno del tempio quando riceve l’annuncio dell’angelo Gabriele della nascita del figlio; a destra e sinistra stanno in attesa due coppie, una di uomini e l’altra di donne.
2.Zaccaria esce muto dal tempio: il formato è verticale; con posa concitata per esser stato reso muto dall’angelo Zaccaria esce dal tempio, che ha la forma di una basilica a tre navate con soffitto cassettonato; disposti a semicerchio gli si fanno incontro con gesti ed espressioni di sorpresa quattro personaggi maschili in fantasiosi abiti medievali .
3.Visitazione di Maria ad Elisabetta: il formato è verticale; le due cugine, di età diverse, si stringono alla presenza di Zaccaria e di un’ancella all'interno di un paesaggio aperto. Sopra di loro discende dal cielo la colomba dello Spirito Santo in una mandorla di Serafini e Cherubini.
4.Nascita di san Giovanni: il formato è verticale; in una ampia camera da letto rinascimentale dentro a un grande letto sant'Elisabetta è a riposo su un fianco. Intorno si dispongono quattro figure femminile impegnate in attività diverse; sul primo piano se ne aggiunge una quinta - la cugina Maria - che tiene il Battista bambino aiutata da due ancelle.
Pianeta, retro (dall’alto verso il basso):
5.Zaccaria scrive il nome del figlio: il formato è verticale; all’interno di una sala rinascimentale, una elegante balia scortata da due ancelle presenta il Battista bambino all’anziano Zaccaria; questi, seduto su uno scranno, scrive su un rotolo il nome del figlio che gli è stato dettato dall’angelo.
6.Circoncisione di san Giovanni Battista: il formato è verticale; ad un altare posto all’interno di un edificio a tre navate Zaccaria si accinge a circoncidere il figlio che è in braccio a una balia. A sinistra si vede l’anziana Elisabetta, a sinistra due personaggi maschili osservano la scena.
7.San Giovanni predica alle turbe: il formato è verticale; entro un paesaggio desertico e roccioso, al centro, in piedi su una cresta di pietra torreggia il Battista, in pelle di cammello e manto rosso, con una croce e una pergamena, in atto di predicare a un gruppo di uomini e donne in abiti e acconciature rinascimentali disposti a sedere a terra in cerchio ai suoi piedi.
Dalmatica del diacono (1), fronte:
8.San Giovanni annuncia ai farisei la missione di Cristo (manica destra): il formato è verticale; la narrazione si svolge all'interno di una chiesa a tre navate. Sul primo piano il Battista è in posa orante, con un neofita seminudo ai piedi alla presenza di un bacile. Sull’altro lato e alle spalle si dispongono i sacerdoti e i leviti. Un cartiglio con le parole “EGO BAPTIZO…” sembra uscire dalla bocca del santo.
9.Incontro di san Giovanni con il Salvatore (in alto): il formato è orizzontale; all’interno di un ambiente arido si dispongono due gruppi di personaggi: a destra si vede raffigurato Cristo accompagnato da due discepoli; indica davanti a sé, verso il Battista, che scalzo e in pelliccia, incede verso di lui inchinandosi a braccia conserte. Intorno al santo si vedono quattro uomini in ricchi e fantasiosi abiti del Quattrocento.
10.San Giovanni davanti ai sacerdoti e ai leviti (manica sinistra): il formato è verticale; in un ambiente brullo, sulla destra san Giovanni indica verso l’alto e dalla sua bocca fluisce un cartiglio illeggibile; intorno a lui stanno alcuni discepoli, mentre dall’altra parte si vedono sacerdoti e leviti, con ricchi ed estrosi abiti e copricapi, lunghe barbe, volti e gesti esprimenti acrimonia e arroganza.
11.Battesimo dei neofiti (in basso): il formato è orizzontale; sullo sfondo di un’ampia vallata si dispongono una serie di molti personaggi in abiti medievali d’invenzione. Sul primo piano si vede il Battista, il solo in pelliccia e a piedi scalzi, in atti di versare l’acqua sul capo di tre uomini in perizoma, allineati in ginocchio ai suoi piedi, dove scorre la lingua d’acqua del Giordano. Poco dietro si vedono altri seguaci in atto di spogliarsi (o rivestirsi) aiutati da compagni. I volti di tutti sono sorridenti o lieti.
Dalmatica del diacono (1), retro:
12.Incontro tra San Giovanni Battista e il gran sacerdote (manica sinistra): il formato è verticale; la scena è ambientata in un esterno ameno di campi coltivati, alla presenza di una fonte che sgorga da una roccia. Sul primo piano, il Battista, in pelle di cammello, discute gesticolando con il gran sacerdote, che ha l’aspetto di un anziano con lunga barba canuta, vestito con ampie e ricche vesti e un grande copricapo. Appena più indietro si scorgono alcuni cavalieri elegantemente vestiti, che assistono alla scena.
13.Cristo battezza san Giovanni (in alto): il formato è orizzontale; al centro san Giovanni è genuflesso in una lingua d’acqua rappresentante il fiume Giordano, che viene dal fondo snodandosi in un paesaggio pietroso. Cristo si protende verso di lui da sinistra a versargli l’acqua sulla testa. Alle spalle il Salvatore è assistito da tre apostoli, cui fanno specchio altri tre sull’altra riva, uno dei quali tiene la pelliccia del Battista.
14.San Giovanni accusato da Erodiade (manica destra): il formato è verticale; all'interno di un’importante architettura, una sorta di tempietto con volta a botte su pilastri e con pavimento in marmi policromi, si dispongono i protagonisti dell’episodio: al centro si vede Erode, in abiti regali, rivolgersi con lo sguardo a Erodiade, elegantemente vestita, e indicare insiema a lei verso sinistra il Battista, che a sua volta, in risposta, alza la mano destra.
15.Predica di san Giovanni Battista davanti a Erode ed Erodiade (in basso): il formato è orizzontale; la scena si svolge all’interno di un'imponente sala, con grandi arcate cassettonate sul fondo e un perimetro di drappi e seggi sui lati, su cui stanno sedute figure riccamente vestite, cavalieri e patrizi nelle panche e sacerdoti negli scranni (a destra) e Erode ed Erodiade (a sinistra); spicca al centro, su un podio, il Battista, in pelle di cammello, posa oratoria, in atto di predicare ai presenti.
Dalmatica del diacono (2), fronte:
16.San Giovanni indica Cristo alle turbe (in alto): il formato è orizzontale; su uno sfondo di montagne sassose si dispongono i personaggi: al centro c’è il Battista, in pelle di cammello, colto nell’atto di rivolgersi sulla destra a un gruppo di uomini in eleganti vesti rinascimentali, e indica loro con l'altra mano il Cristo, il quale è in piedi a sinistra, insieme a due apostoli. Nella mano destra san Giovanni tiene un cartiglio con l’iscrizione “ECCE AGNUS DEI”.
Dalmatica del diacono (2), retro:
17.Danza di Salomè: il formato è orizzontale; all’interno di una grande ed elegante sala rinascimentale con pavimenti a intarsio e un loggiato perimetrale si vedono, a sinistra, Erode seduto a capo di una tavola imbandita con sua moglie a fianco e un’altra coppia di commensali; al centro, la giovane Salomè che danza, accompagnata, più indietro da due musici.
18.Banchetto di Erode: il formato è orizzontale; la scena si svolge all’interno di un'importante stanza in stile fiorentino del Quattrocento, con preziosi pavimenti e la parete di fondo segnata da bifore e portali aperti su altri ambienti. A un'ampia tavola imbandita è rappresentato un gruppo di commensali di ambo i sessi; sul primo piano, a sinistra, Salomè riceve la testa del Battista da un servo e a destra lo stesso servitore la presenta ad Erode ed Erodiade.
Piviale, fronte (dall’alto verso il basso, prima la sinistra e poi la destra):
19.Incontro di san Giovanni con i pubblicani: il formato è verticale; l’episodio è ambientato in un paesaggio arido, chiuso sul fondo da picchi rocciosi. Appena decentrato sulla destra si vede il Battista, con indosso la pelle di cammello, un manto rosso, l’aureola e in mano una croce, rivolgersi a un gruppo di sei uomini in abiti medievali disposti a semicerchio davanti a lui, sulla sinistra, mentre un settimo rimane girato di tre quarti sulla destra.
20.Arresto di san Giovanni: il formato è verticale; in un ambiente arido con un fondo di cime rocciose si dispongono a semicerchio sei personaggi in abiti medievali di fantasia. Al centro, il Battista, in pelliccia di cammello e in posa scomposta, viene preso per le spalle da un uomo, mentre un secondo gli lega le mani dietro la schiena. Chiudono il gruppo, alle estremità, due soldati in armatura.
21.San Giovanni condotto in carcere: il formato è verticale; in uno scenario pietroso, con sparuti arbusti si svolge da sinistra a destra una processione di uomini e soldati in abiti medievali; appena decentrato si stacca verso il primo piano il Battista, tenuto per le mani legate dietro la schiena da un armigero.
22.San Giovanni visitato in prigione dai discepoli: il formato è verticale; la scena è dominata da un torrione merlato con beccatelli, aperto con una grata, da cui si affaccia il Battista; ai lati stanno due apostoli, vestiti di tunica e con aureola; sulla sinistra due uomini in armatura fanno picchetto sullo sfondo di un paesaggio composto da un cipresso e da un cielo di nuvole striate.
23.Decollazione di san Giovanni: il formato è verticale; la scena si svolge in un ambiente urbano, composto da un edificio turrito sulla sinistra e da una loggia rinascimentale sulla destra. Sul primo piano è raffigurato il Battista, genuflesso, con la testa abbassata su una base di pietra. Dietro di lui il carnefice con corta tunica solleva la spada, mentre sulla destra osservano la scena due uomini in armatura.
24.Salomè presenta la testa del Battista a Erodiade: il formato è verticale; l’episodio è raccontato nell’interno molto scorciato di una grande sala, ornata sul fondo da due bifore, e sulla sinistra da un camino e da un trono entro un arcosolio. Sul trono siede Erodiade, in abiti medievali, colta un attimo prima di protendersi con un gesto di stupore verso Salomè, che da sinistra irrompe offrendole un piatto con la testa del Battista.
25.Trasporto del corpo di san Giovanni: il formato è verticale; in un paesaggio di creste rocciose sul primo piano sei apostoli del santo in abiti medievali ed espressioni grevi incedono in diagonale da sinistra a destra, portando sulle spalle un cataletto, su cui è steso il corpo del Battista, privo della testa.
26.Sepoltura di san Giovanni: il formato è verticale; al centro della scena è un sepolcro rettangolare aperto, nel quale otto apostoli del santo con espressioni e gesti di lamento e mestizia ripongono il corpo privo di testa del Battista. Alle spalle, sul fondo, ci sono tre picchi sassosi, di cui il centrale è segnato da una grotta sepolcrale aperta.
Piviale, retro:
27.Discesa di Cristo al Limbo: il formato è orizzontale; in un ambiente aperto si vede raffigurato, al centro, Cristo risorto, con tunica e la bandiera, calpestare la porta degli inferi sotto cui è schiacciato un diavolo e, davanti a sé accogliere il Battista, che esce dall’ingresso merlato del Limbo. Intorno, aureolati e individuati da chiari attributi iconografici, si riconoscono altri beati dell’Antico Testamento, alcuni genuflessi, altri in piedi.
Notizie storico critiche
I ricami con le storie di San Giovanni Battista costituiscono l’esempio più alto di parato liturgico della storia dell’arte fiorentina.
Il parato fu realizzato in un arco temporale piuttosto ampio, di più di vent’anni, la cui ricostruzione è oggi possibile attraverso sia le fonti antiche, sia, soprattutto, lo spoglio seicentesco del senatore Carlo Strozzi (oggi nell’Archivio di Stato di Firenze) dei registri dell’Arte di Calimala (i cui originali sono perduti); spogli che però non è dato sapere se, e se sì, quanto parziali.
I documenti riportati da Strozzi pertinenti al parato di San Giovanni sono quattordici, appartengono a un periodo che va dal 1466 al 1487 e sembrano raccontare un'impresa che è proceduta a tappe. Nel primo gruppo di documenti, datato 1466 vengono riportati in tre occasioni distinte i nomi di sette maestri incaricati del ricamo. Il primo di essi, del 5 agosto, è la Deliberazione dei Consoli dell'Arte di Mercatanzia per l'esecuzione del Parato e vi si legge: “Facciasi un paramento di broccato e per maestri del ricamo si eleggano: Coppino di Giovanni di Bramante, Piero da Venezia, Pagolo d'Anverza e Iansicuro di Navarra”; si elegge anche un “Provveditore per sollecitare detti paramenti”. In un secondo documento del 1 dicembre dello stesso anno al gruppo si aggiungono “Antonio di Giovanni da Firenze e Gianpagolo da Perpignano”; e infine, nello stesso anno, ma in un documento senza data, si trova la notizia che “Coppino di Giovanni, Giovanni di Jacopo, Giovanni di Morale, Pagolo d'Anguersa, Piero di Piero Veneziano, Antonio di Giovanni da Firenze, Giovanni di Pelaio di Prignana, ricamatori, lavorano i paramenti di San Giovanni”. “Iansicuro di Navarra” che appare nel primo elenco, secondo la critica (eccetto lo Schwabacher) è lo stesso “Giovanni di Morale” che appare nel terzo, così come “Giovanni di Pelaio da Prignana” è quasi certamente il “Gianpaolo da Perpignano" nominato nel secondo elenco. L’assenza del nome di Antonio Pollaiolo (che ricorre come maestro esecutore dei cartoni successivamente) lascia presumere che i disegni per i ricami fossero stati a lui allogati precedentemente e che a questa data fossero già almeno in parte pronti in numero sufficiente almeno da giustificare la richiesta di sette maestri del ricamo. Si nota poi come i ricamatori selezionati siano in maggioranza “stranieri” e cioè un veneziano (Piero), due fiamminghi (Paolo da Anversa e Giovanni di Brabante), un francese (Giovanni da Perpignano) e uno spagnolo (Giovanni di Morale). Probabilmente, la scelta di una tecnica di ricamo innovativa per la tradizione locale, l’or nuè, indusse a scegliere maestri forestieri più esperti e già pratici.
Un documento successivo reca la data del 9 agosto del 1469 e riporta notizia di “quattro maestri” impegnati nei “paramenti e nei fregi ricamati” e di un "garzone" che “vi si eleggie”. Nello stesso documento appare menzionato per la prima volta in qualità di autore dei cartoni Antonio del Pollaiolo a proposito di un pagamento di 90 fiorini per disegni da lui forniti (quasi certamente si tratta di un secondo insieme che si aggiungeva a una prima serie del 1465-1466); disegni che dovevano presentarsi come cartoncini colorati (come osservato da Melli nel 2003): “Disegni si dipingono per Antonio di Jacopo del Pollaiuolo, per i quali se gli paga fior. 90”. Il 19 dicembre i ricamatori risultano essere a lavoro (“Paramenti e fregi ricamati si fanno per San Giovanni”) e in un documento successivo, datato 1470, si leggono i nomi di questi maestri impegnati sui cartoni del Pollaiolo: sono ora in numero di cinque, tre dei quali già presenti negli elenchi dello stesso anno - Coppino di Giovanni da Melina di Fiandra, Piero di Piero da Venezia e Antonio di Giovanni da Firenze - cui si aggiungono Niccolò di Jacopo di Francia e Pagolo di Bartolommeo da Verona. Quest’ultimo è il maestro cui Vasari attribuirà nel Cinquecento il merito di tutta l’opera (si veda più avanti), ma dai documenti sembra di poter dedurre che fosse il fiammingo Coppino a capo del laboratorio, giacché il suo nome ricorre lungo tutto l’arco cronologico dell’impresa con uno stipendio superiore agli altri. In questa circostanza viene anche avanzata la proposta di arricchire i ricami applicandovi perle; proposta che poi decadrà l’anno successivo: “perle non mettino sopra i paramenti ricamati che si fanno per la chiesa di S. Giovanni”. C’è inoltre da sottolineare che il 1470 è l’anno che sarà indicato per la realizzazione di tutto il parato nel 1759 da Anton Francesco Gori, (che in qualità di preposto del Battistero, come ripeteremo più avanti, aveva accesso diretto ai documenti originali) nel suo “Thesaurus veterum diptychorum consularium et ecclesiasticorum”, e si può allora sollevare il sospetto con Becherucci (1970) che per questa fase gli spogli strozziani siano piuttosto sommari e non descrivano pienamente la situazione del “cantiere”.
Altri documenti di minor importanza e difficilmente interpretabili recano uno la data del 23 marzo 1472, con la richiesta che “i ricamatori del paramento ricamato che si fa per san Giovanni s’appuntino per i donzelli” (forse una richiesta di stabilire un elenco delle mansioni dei singoli), e poi un secondo del 2 giugno 1473, ove si richiede che al Pollaiolo “si dieno i modi di fare tutto il restante de’ disegni che restano a fare gli ornamenti della chiesa di San Giovanni”.
Un importante documento è quello trovato da Poggi e pubblicato da Schwabacher nel 1911, che reca la data del 30 aprile 1475: si tratta di un atto notarile di accordo tra cinque dei ricamatori (notaio Ser Piero di Ser Andrea da Campi), di fatto l’atto fondativo di una società tra Coppino “olim Johannis de Alamania” da una parte e, dall’altra, Piero del fu Riccardo da Venezia, Giovanni del fu Jacopo e Antonio del fu Giovanni, fiorentini, e Paolo da Verona. Le clausole contenute nell’accordo, riguardanti le penali in caso di abbandono, sono di garanzia reciproca tra i soci e verso l’Arte committente per il regolare progredire del lavoro. Questo accordo è il preludio al documento successivo, del 4 dicembre 1476, dove si fa riferimento a una prossima conclusione del lavoro: “Fregi e storie de' paramenti che si fanno di nuovo in S. Giovanni, con figure, si conviene con gl'infrascritti che gli finischino si come gl'havevano fatti e lavorati sino all'ora, cioè con Coppino... da Mellina, Piero... da Venezia, Pagolo di Bartolommeo da Verona, ricamatori, e Niccolò d'Iacopo, Antonio di Giovanni e Giovanni di Iacopo vocato Garzone; per finirlo debbino havere fior. 800, e devono haverli finiti in anni due e otto mesi etc. Danno mallevadori”. Pochi giorni dopo, il 20 dicembre, in un altro documento si aggiunge: “Fregi e ricami per il paramento che si fa in San Giovanni, si sceglie tre storie perché i maestri non le faccino men belle che si sieno quelle etc.” Una serie di dichiarazioni queste, del riprendere l’opera sui ricami “come gl'havevano fatti e lavorati sino all'ora” e del “non le faccino men belle” che a Galli e Siddi (2019) ha fatto pensare ad alcuni problemi sorti in relazione a uno scadimento qualitativo di alcune delle storie, come si dirà meglio più avanti.
Con una interruzione data per concessione fatta a Coppino e Paolo da Verona per “ricamare due visi per il papa” si scorre nelle memorie a un documento datato dal Poggi 1480, nel quale si riporta notizia di un pagamento di 90 fiorini ad Antonio del Pollaiolo per “i disegni per i fregi de’ paramenti di S. Giovanni”; Melli (si veda di seguito) ha però riletto questo documento con il verbo al passato, interpretandolo quindi come un riferimento ad un pagamento già avvenuto, e in base a questo ha reinterpretato le fasi di realizzazione dei cartoni preparatori, confutando l’idea che l’attività di Pollaiolo si sia protratta fino al 1480.
A quest’altezza cronologica l'impresa volgeva a compimento e in un documento del luglio dello stesso anno si stabilisce che i paramenti per cui i ricami erano stati realizzati “si faccino bianchi e secondo il disegno di Francesco Malocchi tessitore di drappi” e che a tesserli sia Amerigo di Bartolomeo Corsini “per D..20 20 il braccio quadro con che metta almeno D. 11 d’oro per braccio”: era quindi un broccato di seta bianco intessuto d’oro per cui il tessitore ricevette fiorini “20 d‘oro il braccio”. Nel 1487, infine, si ricavò la spesa finale: fiorini 3178, lire 7646, soldi 10 e denari 8.
Le fonti letterarie ora. Già nello Zibaldone Quaresimale di Giovanni di Paolo Rucellai (1457) Antonio Pollaiolo è menzionato come “maestro di disegno" e cioè in possesso di un’arte declinabile in diverse tecniche, ma egli è ricordato per la prima volta come autore dei disegni per i ricami del parato di San Giovanni nel “Libro di Antonio Billi” (1487-1537): “Antonio del Pollaiuolo fu di grandissimo ingiegnio [...] tutte le Storie di Santo Giovanni et paramenti di decta chiesa furno i disegni di sua mano”; segno che i ricami attrassero immediatamente l’attenzione dei contemporanei. Il parato viene poi citato tra le opere del Pollaiolo dal cosiddetto “Anonimo Gaddiano” o “Magliabechiano” (1537-1542): “Et fece i disegni di tuttj i ricami ch’al suo tempo si feciono nei paramenti di detto tempio <di San Giovanni>”. Lo segue il Vasari che, nel capitolo delle sue “Vite” dedicato ai Pollaiolo (sia nell’edizione del 1550 che nella giuntina), rende grande onore al ciclo dei ricami e, parlando per la prima volta più estesamente di quest’opera, accanto ad Antonio nomina ed elogia l’arte di ricamatore di Paolo da Verona: “Col disegno di costui <Antonio> furono fatte per S. Giovanni di Fiorenza due tonicelle et una pianeta e piviale di broccato, riccio sopra riccio, tessuti tutti d’un pezzo, senza alcuna cucitura; e per fregi et ornamenti di quelle, furono ricamate le storie della vita di S. Giovanni, con sottilissimo magisterio et arte da Paulo da Verona, divino in quella professione e sopra ogni altro ingegno rarissimo; dal quale non furono condotte manco bene le figure con l’ago, che se le avesse dipinte Antonio col pennello: di che si debbe avere obligo non mediocre alla virtù dell’uno nel disegno, et alla pazienza dell’altro nel ricamare. Durò a condursi questa opera anni XXVI, e di questi ricami fatti col punto serrato, che oltre all’esser più durabili appare una propria pittura di penello, n’è quasi smarrito il buon modo, usandosi oggi il punteggiare più largo, che è manco durabile e men vago a vedere”.
Nel 1591 Francesco Bocchi nel suo “Bellezze della Città di Fiorenza” descrisse nuovamente i ricami e nel farlo riportò alcune preziose informazioni circa il loro uso liturgico e un accenno a come i ricami istoriati fossero ordinati nelle vesti: “Una messa parata, cioè le veste che si mettono sopra il camice et si adoperano nella festa di San Giovanni et nel Perdono senza più, si conserva in questa chiesa, tutta di broccato riccio. Et da basso et nel mezo di dette veste si veggono historie fatte con l’ago con tanta finezza et disegno, che da tutti sono tenute mirabili et rare”;
Successivamente, nella sua già citata opera postuma del 1759, il “Thesaurus veterum diptychorum consularium et ecclesiasticorum”, Anton Francesco dal Gori, preposto del Battistero, diede notizia di come il parato in origine fosse di dimensioni così ampie da toccare terra, che per questa ragione nel 1733 fosse stato quasi interamente rifatto e che in tale occasione una ventina di ricami furono allora messi da parte e per premura dello stesso Gori incollati uno a uno su tavolette e quindi racchiusi in cornici protette da vetri per essere appesi nel deposito delle reliquie nella sagrestia del Battistero. Non è chiaro quando anche i restanti sette ricami furono separati dai parati e messi in sicurezza, ma nel 1887 venivano contati tutti e 27 tra le opere da esporre nel nuovo Museo. Gori, che - come detto - aveva accesso ai documenti originali, è anche il primo a ricordare, insieme a “Antonio Iacobi F. del Pollaiuolo Florentino” i nomi di nove ricamatori “Artifices optimos” che lavorarono al ciclo: “Coppinus Iohannis de Melina Belga, Iohannes Iacobi, Iohannes Moralis, Paulus Antverpiensis, Petrus Petri F. Venetus, Antonius lohannis Florentinus, Iohannes Pelai de Prignana, Paulus Bartholomaei Veronensis, Nicolaus lacobi Francigena”. Aggiunge a ciò una notizia molto importante: per il suo grande valore liturgico e artistico il Parato era esposto insieme agli altri tesori del Battistero in occasione della festa del Perdono e di quella di San Giovanni, “in postica fronte” dell’altare d’Argento.
In epoca moderna i ricami sono stati trattati dal Cavalcaselle (1894), che riferì però i cartoni a Piero del Pollaiolo e l’ideazione delle storie al fratello Antonio (ipotesi questa oggi rigettata dalla critica ma accettata fino agli anni Ottanta del secolo scorso). Nel 1891 i ricami furono esposti nella seconda sala del nuovo Museo dell’Opera; compaiono infatti nel primo catalogo e di nuovo in quello curato dal Poggi del 1904, che in appendice pubblicò i relativi spogli strozziani e tentò una suddivisione delle storie in 4 gruppi in base alle dimensioni .
Nel 1907 Cruttwell ne trattò nel suo studio sui Pollaiolo avanzando l’ipotesi di un maggior intervento anche di anonimi collaboratori nella fase di progettazione, di cui alcuni nordici; ipotesi poi arginata da Schwabacher nel suo importante studio sulla serie del 1911, nel quale pubblicò col supporto di Poggi nuove tracce documentarie e si cimentò in un tentativo di ricostruzione dell’ordine dei ricami nei diversi pezzi del parato.
Negli anni seguenti, il ciclo è stato studiato nel contesto dell’opera dei Pollaiolo da Van Marle nel 1929, nel secondo volume del suo lavoro sulla pittura fiorentina, quindi da Schottmüller nella voce dell’artista nel Künstler-Lexikon del 1933 e da Toesca in quella dell’Enciclopedia Italiana (1935). In questo stesso anno dodici dei ricami furono esposti alla grande mostra di Parigi del 1935 sull’arte italiana, nella sezione dedicata al tessile, la quale rappresentò, da un certo punto di vista, il coronamento del rinnovato interesse per l’arte tessile progressivamente fiorito a cavallo tra XIX e XX secolo.
La critica successiva si è poi maggiormente concentrata nel tentativo di individuare diversi gruppi di ricami corrispondenti a diversi fasi esecutive; proposte divergenti su questo aspetto sono giunte da Sabatini nel 1941 e ancora nel 1944 e da Ortolani nel 1948. Nel 1965, per la collana “Forma e Colore”, Busignani dedicò un intero volume alla serie dei ricami e di nuovo ne trattò nel suo libro sui Pollaiolo del 1970. Di poi, si sono succeduti gli studi più puntuali sull’argomento: quello di Marco Chiarini nella voce del Dizionario Biografico Treccani (1966); quello, davvero fondamentale, di Becherucci nel secondo volume del catalogo del Museo del 1970; quindi il testo di Ettlinger nel suo catalogo completo dei Pollaiolo del 1978 e quello di Frank nella sua tesi di Dottorato del 1988, dove un intero capitolo è riservato alla questione dei ricami, con nuove osservazioni sulle dimensioni e sulle iconografie dei singoli pezzi, e nuove analisi stilistiche e proposte per la cronologia e l'origine delle storie. Negli ultimi decenni rivestono particolare importanza i testi di Alison Wright nel catalogo della mostra di Londra del 1999 “Renaissance Florence: the art of the 1470s” e poi nel suo libro sui fratelli Pollaiolo del 2005.
Ancora, una tappa importante per la conoscenza del ciclo è stata la mostra del 2014 del Poldi Pezzoli di Milano: “Antonio e Piero del Pollaiolo. ‘Nell'argento e nell'oro, in pittura e nel bronzo…’” il cui percorso espositivo si apriva significativamente con cinque dei ricami (il secondo, il decimo, il diciottesimo e il ventesimo); nel catalogo di corredo l’argomento è stato affrontato in modo rigoroso nei saggi di Aldo Galli e Conti-Ciatti e nella scheda di Federica Siddi.
Momento capitale della storia e degli studi sul ciclo è poi costituito dall’importante restauro del 2013-2015 compiuto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, cui ha fatto seguito il nuovo allestimento del Museo dell’Opera del Duomo, dove i ricami, liberati dalle antiche cornici e staccati dalle tavolette, sono stati esposti inseriti in nuovi supporti amovibili, collocati secondo un’ipotesi ricostruttiva entro sagome rievocative dei pezzi del parato cui appartenevano. Quattro anni dopo il nuovo allestimento e a divulgazione del grande restauro che l’ha preceduto, nel 2019 ha quindi visto la luce il più importante volume di storia critica e studi scientifici sul ciclo dei ricami: “Segni di meraviglia: i ricami su disegno del Pollaiolo per il parato di San Giovanni: storia e restauro”. All’interno del volume il saggio di Aldo Galli e Federica Siddi occupa una posizione cardinale: vi si ripercorre la vicenda storica e storico-critica del parato, formulando una riflessione aggiornata sulle fonti antiche e sugli studi passati alla luce di quelli moderni e delle rilevanze scientifiche emerse nel corso del restauro. I due studiosi ribadiscono in particolare l’idea di riconoscere due grandi fasi nella redazione dei disegni per i ricami, piuttosto che un lavoro continuo, fasi individuabili pur nell'omogeneità complessiva di cui si fregia il ciclo e risultante dalla sua altissima qualità. Il primo gruppo comprenderebbe la maggior parte dei ricami, si daterebbe intorno al 1465 e comprenderebbe le scene raffiguranti le storie dell’infanzia e quelle del martirio del santo; mentre il secondo, di una decade più tardo, composto dai restanti ricami, si distinguerebbe per una maturazione nella relazione tra personaggi e ambiente architettonico, e troverebbe il proprio momento culminante nel ricamo con la Predica del Battista davanti ad Erode. Accanto a ciò, Galli e Siddi rinsaldano in questo saggio la paternità di tutti cartoni ad Antonio, ma anche notano, per primi, una caduta di qualità nei due episodi della Danza di Salomè (XII) e della Presentazione della testa del Battista (XXIV), spiegandola con l’intervento di qualche artista di bottega piuttosto che con uno scadimento dei ricamatori (il quale è smentito dalle osservazioni effettuate in occasione del restauro) e associando i due ricami a quella fase individuata dai documenti del dicembre del 1476 di cui s’è già detto.
Nel 2023 ha poi visto la luce l’imponente studio di Lorenza Melli sul corpo grafico dei Pollaiolo, che in più punti è tornato a ragionare dei disegni di Antonio per il parato. Come già accennato, sulla base della rilettura dei documenti di archivio la studiosa ha proposto di datare la realizzazione dei cartoni preparatori a due momenti, ovvero al 1466 e al 1473. Nel volume vengono riferiti alle storie dei ricami i disegni 357 E del GDSU (verso), con tre studi per San Giovanni Battista, quindi il 98 F, sempre agli Uffizi, per Zaccaria esce dal tempio (con bottega), quello di Berlino (Staatliche Museen, Kupferstichkabinett, KdZ 5028) per l’incontro del Battista con i pubblicani (come copia da), il foglio di Lille (Palais des Beaux-Arts, Pl. 670)--di cui esiste una copia di bottega alla Kunsthalle di Amburgo (inv. n. 21352) - con quello con Cristo e il Battista, probabilmente per una scena perduta o rimasta a livello progettuale dei ricami, .
Infine, nel 2023 Anne E. Bahrenburg Barbetti ha dedicato un intero volume - “Il Parato di San Giovanni Battista. Un Cold Case per Antonio Pollaiolo” - allo studio del ciclo dei ricami in chiave iconografica, con una disamina delle fonti letterarie e figurative delle singole storie e dove si propone una ricostruzione diversa rispetto al Museo dell’ordine dei ricami, comprensiva di proposte per ipotetici sette ricami istoriati perduti.
Relazione iconografico religiosa
I ricami per il parato di San Giovanni costituiscono il più ampio ciclo su San Giovanni Battista mai realizzato a Firenze: ventisette episodi della vita del Patrono della città e titolare del Battistero che si ponevano in successione ai tre precedenti iconografici prossimi più importanti, ovvero le venti formelle della Porta Sud di Andrea Pisano, quattro dei sei rilievi del fonte battesimale del Battistero, e, prima ancora, quindici riquadri dell’ultima fascia decorativa dei mosaici della volta del Battistero. Tra le fonti iconografiche artistiche si deve anche tenere conto delle tre storie del Battista affrescate da Giotto nel 1310-1311 nella parete sinistra della Cappella Peruzzi di Santa Croce, nonché, nella medesima basilica, di quelle dipinte da Agnolo Gaddi nella Cappella Castellani (1385). Pollaiolo doveva aver conoscenza anche del ciclo degli affreschi di Filippo Lippi nel Duomo di Prato, con i grandi riquadri con quattro storie del Battista, che furono completati in coincidenza con l’inizio dei lavori al parato. La lettura dei ricami va poi considerata anche in relazione alle dodici formelle in rilievo con storie del Battista che ornano l’“Altare d’argento”, la cui realizzazione si concluse nel medesimo tempo del parato e insieme al quale veniva esposto il giorno della festa della nascita del Santo patrono - il 24 giugno - e per la Festa del Battesimo di Cristo, detta “del Perdono”, il 13 gennaio.
Ancor più rilevanti sono le fonti letterarie. Le storie della vita e della Passione del Battista, (come scrisse il Gori) hanno per fonte principale i Vangeli, i tre sinottici e quello di Giovanni. A questa fonte si aggiunge la “Legenda Aurea” di Jacopo da Varagine (1260-1268), dove si trovano descritti gli episodi della nascita e della decollazione del Battista. Nel suo importante studio del 2023 Bahrenburg Barbetti ha proposto di riferire al ciclo due fonti da lei scoperte: la prima è una Vita del Battista (“Vita di San Giovambatista”), di anonimo, completata da Giuliano Quaratesi nel 1458 e conservata presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze, poi edita a stampa nella miscellanea “Vite di alcuni santi, scritte nel buon secolo della lingua toscana” di Domenico Maria Manni (1735). L’altra fonte sono le “Meditationes de la vita del nostro Signore Ihesu Christo”, volgarizzamento delle “Meditationes Vitae Christi”, databile al primo quarto del XIV secolo circa, attribuita al francescano Jacobus da San Gimignano e corredata da illustrazioni a tempera (alcune rimaste allo stadio di disegno a penna) riferibili alla mano di un artista senese di quel tempo.
Arduo è invece stabilire con certezza l'ordine con cui le storie dei ricami erano distribuite sui singoli pezzi del parato, tanto più tenendo presente che quasi per certo alcuni ricami sono andati perduti e solo ipoteticamente è possibile dire quante e quali storie essi raffigurassero.
Nella varietà delle ipotesi è comunemente riconosciuto dagli studiosi che le storie, distribuite a ornamento dei pezzi del parato passando dal lato anteriore al posteriore di ciascuno, dovessero succedersi rispettando solo parzialmente l'ordine cronologico della narrazione indicato dalle fonti scritte. Si comincia quindi con gli episodi della nascita e dell’infanzia del Battista nella pianeta, per poi passare ai momenti della predicazione, dell’incontro con Cristo, della Danza di Salomè e del Banchetto di Erode nella tonacella del suddiacono e nella dalmatica del diacono, per finire poi nel piviale con le storie della passione, del seppellimento e della liberazione dal Limbo.
Di seguito si presenta l’ordine adottato nell’allestimento del Museo e si riportano i riferimenti alle fonti rintracciati da Bahrenburg Barbetti (2023), tenendo presenti anche i precedenti iconografici artistici detti.
Il primo episodio, con L'annuncio a Zaccaria riporta la fonte evangelica di Luca 1,8-11: “Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso.Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso. Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso.”
Il racconto prosegue quindi nel secondo ricamo con Zaccaria che esce muto dal tempio, laddove al Vangelo di Luca (1,21-22) si può integrare la “Legenda Aurea”: “L'angelo per punirlo di non aver creduto alle sue parole lo rese muto. Quando si presentò al popolo fuori del tempio e tutti si accorsero che era diventato muto, Zaccaria fece intendere a segni di aver avuto una visione.” La storia successiva è la Visitazione di Maria a Elisabetta, la cui fonte evangelica è Luca 1,39-45, ma la presenza di Giuseppe e il dettaglio del paesaggio inospitale si potrebbe rimandare alle agiografie del XIV e del XV secolo, dove è presente lo sposo della Vergine e un riferimento alla difficoltà del loro viaggio alluse dal paesaggio. Il ricamo con la raffigurazione della Nascita del Battista sembra avere una relazione iconografica ancora più diretta con la “Vita di S. Giovambattista” del Quattrocento, perché è l’unica fonte dove si parla della presenza nella sala del parto della Vergine, investita dalla più anziana cugina del compito di essere l’unica a poter toccare il bambino sebbene, vista l'inesperienza data dalla sua giovane età, con l'assistenza delle ancelle; precisamente come si vede sul primo piano dell’opera, dove Maria appare seduta a terra col Battista neonato in braccio mentre ai lati due dame la assistono.
Più semplice è la derivazione della storia successiva, Zaccaria che scrive il nome del figlio, dalla pagina del Vangelo di Luca (1,62-63): “Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: ‘Giovanni è il suo nome’. Tutti furono meravigliati.” L’episodio istoriato nel ricamo successivo, con la Circoncisione del Battista, fa riferimento a un momento della storia conseguente, ma si basa su due versetti precedenti dello stesso Vangelo di Luca (1,59-60): “All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: ‘No, si chiamerà Giovanni’”.
Quasi tutti gli studiosi concordano nel ritenere che la serie proseguisse poi con una o più storie perdute dell’infanzia di san Giovanni; colpisce in particolare l’assenza di un episodio agiografico caro alle fonti artistiche sul Battista, ovvero san Giovanni fanciullo che lascia la casa paterna e si dirige nel deserto, una storia che la tradizione aveva elaborato sul Vangelo di Luca 1,80 “Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele” e che si trova ampliato nella “Vita di S. Giovambattista” del Quattrocento.
Segue la storia con la Predica di San Giovanni alle turbe: le fonti evangeliche sono Matteo (3,1-3) e Luca (3,1-4), ma il dettaglio della folla composta di uomini e donne e del piccolo “podio” roccioso su cui sta il santo potrebbe avere come fonte diretta l’anonimo del XV secolo: “La gente comincia a trarre tutti, femmine e uomini e popoli di tutte le cittadi d'intorno [...] Costoro stavano cheti per udirle, e sentivano tutti il cuor loro infiammare della dottrina sua, e Giovanni istava un poco da lungi in su qualche monticello…”
Si passa quindi al ricamo raffigurante l’incontro del Battista con il Salvatore per il quale il Vangelo di Matteo (3,13-15) è sufficiente a descrivere il momento in cui Gesù chiede a Giovanni di essere battezzato e questi inizialmente si oppone, ma il particolare dei discepoli del Battista che discutono tra loro indicandolo potrebbe dipendere anche in questo caso dalla “Vita di S. Giovambattista” “ed era tanta l'allegrezza che mostrava nella faccia sua, che coloro che stavano d’intorno, se n’avvedevano, e molto si meravigliavano”.
È poi la volta del ricamo con San Giovanni davanti ai sacerdoti e leviti venuti a interrogarlo da Gerusalemme, che conosce come unica fonte testuale il Vangelo di Giovanni 1,19-27. Purtroppo l’usura ha reso illeggibile il rotolo che riportava le parole del Battista, ma si può ipotizzare che al suo gesto di indicare verso l'alto fossero associate le parole “Ego vox clamantis in deserto: ‘Dirigite viam Domini’”, come consuetudine iconografica del Battista, appartenente proprio a questo passo della sua agiografia.
La storia successiva è il Battesimo dei neofiti, che traduce in immagine le pagine dei vangeli di Matteo (3,1-2), Luca (3,15-16) e Giovanni (3,23); quest’ultima è forse la più vicina al testo figurativo, insieme alla “Vita di San Giovambatista”: “così S. Giovanni vedendo che le turbe venivano in tanta moltitudine, comincia a battezzare [...] e stava in alcun luogo del fiume, [...] e gittava loro l'acqua in capo”.
Il ricamo seguente è identificato come l’incontro di Giovanni con il Gran Sacerdote e il suo seguito di sadducei, benché la Bahrenburg Barbetti lo interpreti come l’Incontro del Battista con Erode; la fonte più vicina è Matteo 3,7-12 (“Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: "Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente?”), sebbene il disegno del Pollaiolo non sembri raffigurare il rimprovero del Battista, ma piuttosto un saluto tra i due personaggi.
Segue la storia di San Giovanni battezzato da Gesù: quest’episodio ha per precedente iconografico uno dei rilievi del fonte battesimale del Battistero e non ha fonti letterarie se non nel solo Vangelo di Giovanni (3,26) dove si legge un fugace riferimento al fatto che Gesù a sua volta battezzasse; nella “Vita di San Giovambatista” l’episodio è narrato ma con l'importante variazione di San Pietro nella veste di battezzatore.
Il successivo ricamo, raffigurante San Giovanni accusato da Erodiade, lo si trova già modellato in una delle formelle della Porta sud del Battistero. L’episodio non è narrato nei Vangeli, ma trova di nuovo riscontro diretto e preciso nella “Vita di S. Giovambattista”: la presenza di Erode, la discussione, l’ambientazione nel palazzo dove il santo è stato invitato e accusato.
Il medesimo testo è la fonte iconografica anche del ricamo successivo dov’è rappresentato il Battista che “...nel palagio di Erode” predica di fronte a Erode, Erodiade, Salomè e tutta la loro corte. L’episodio ha una qualche corrispondenza con la pagina di Marco 6,20 dove si dice che Erode provava piacere ad ascoltare Giovanni predicare (lo stesso passo evangelico è stato individuato dalla critica come riferimento del rilievo di Leonardo di ser Giovanni nell’”Altare d’argento”).
La narrazione prosegue nella storia raffigurante San Giovanni che indica Cristo alle turbe riconoscendolo Agnello di Dio. Le parole del cartiglio “Ecce Agnus Dei” sono riportate nel Vangelo di Giovanni (1,29), che è la fonte diretta per il ricamo; ma, più in generale, questo episodio è centrale nella agiografia di Giovanni ed è pertanto riportato anche nelle fonti apocrife. Queste tre parole, trascritte su un rotolo o altrove, sono un attributo iconografico privilegiato di San Giovanni Battista nella storia dell’arte.
Si passa quindi a leggere la Danza di Salomè, episodio celeberrimo della vita di San Giovanni, che ha per fonti i vangeli di Matteo (14,6-8) e Marco (6, 21-23), nonché la “Legenda Aurea” e la “Vita di S. Giovambattista”. Succede anche nelle fonti già citate per il ricamo precedente l'episodio del Banchetto di Erode, che trascrive quindi i versetti di Matteo 14,8-11 e di Marco 6,24-28. La storia viene narrata anche nella “Legenda Aurea” e nelle “Meditationes” di Jacobus di San Gimignano, ma è di nuovo l’anonimo del XV secolo a offrirsi come fonte più attinente al ricamo, per il dettaglio dei commensali rattristati e agitati alla vista della testa del santo: “L'ufficiale prese la testa, e così sanguinosa la portò suso dinanzi alla faccia del re. Quando costoro, che mangiavano, vidono questa cosa, furono tutti stupefatti, e con tristizia molto, che pareva loro una terribile cosa questa a vedere, sicchè fu guasta la festa [...]”. Questo episodio e il precedente, appartengono alla passione del santo, quindi a un momento successivo della narrazione, ma erano certamente insieme a pendant su un lato di una delle dalmatiche.
Passando ai ricami del piviale si deve principiare con quello raffigurante l’Incontro tra il Battista e i pubblicani, narrato nel Vangelo di Luca 3,12 e che trova un’ampia narrazione nell’anonimo autore della “Vita di S. Giovambattista”, dove alla folla di persone venute a sentire predicare Giovanni s’aggiungono i notabili di Gerusalemme: “...e molti baroni e signori di Gerusalem venivano a vedere il figliuolo del gran sacerdote Zaccheria, cioè Giovanni Batista, e tutti s'ammiravano di vedere, e udire le sue parole. [...] e pochi ve ne convertivano,…”. Il ricamo successivo è quello raffigurante l’arresto di Giovanni, che nelle fonti evangeliche e nella tradizione iconografica artistica è strettamente correlato agli episodi di San Giovanni condotto in Prigione e San Giovanni che riceve i discepoli in carcere che nel parato sono illustrati separatamente. Qui la scena è elaborata intorno ai versetti 14,3 del Vangelo di Matteo e 6,17 di quello di Marco dove si fa riferimento all’atto di Erode di far arrestare il Battista, nonché forse all’agiografia dell’anonimo del XV secolo dove l’ordine di Erode ha quella violenza che si coglie nel disegno di Pollaiolo: "Pigliate questo Uomo”. La storia è in tale stretta continuità con la successiva fin quasi a sovrapporsi: San Giovanni condotto in prigione, cui si può aggiungere Luca (3,19-20): “Ma il tetrarca Erode, biasimato da lui a causa di Erodiade, moglie di suo fratello, e per tutte le scelleratezze che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione”. In prigione si vede raffigurato il Battista nel ricamo seguente, visitato dai discepoli a cui chiede di andare da Gesù a domandare se sia lui il Cristo, come narrato nei vangeli di Matteo (11,2-3) e Luca (7,18-19). L’episodio è celebre e lo si ritrova rappresentato anche nei mosaici del Battistero, nella Porta Sud e nell’Altare d’argento, e similmente esso ricorre anche nelle fonti agiografiche secondarie, cioè nella “Legenda Aurea”, nelle “Meditationes” di Jacobus e nella “Vita di S. Giovambatista” del Quattrocento. Si deve proseguire poi nell’ordine di lettura con la Decollazione del Battista, il martirio del santo, momento cardine della sua agiografia, raffigurato in tutti i maggiori cicli figurativi su san Giovanni e riportato nei tre vangeli sinottici - Matteo (14,9-10), Marco (6,27-28) e Luca (9,9) - nonché nelle due fonti medievali individuate da Bahrenburg Barbetti. In particolare, la scena dell’armigero che si accinge a decapitare il santo davanti alla prigione sembra riferirsi a Marco “Subito il re mandò una guardia con l'ordine che gli fosse portata la testa. La guardia andò, lo decapitò in prigione”; e all’anonimo del Quattrocento, nel quale accanto al soldato compare la figura, come nel ricamo, del “...vissimo ragazzo con una ispada molto tagliente…”. La storia successiva, raffigurante Salomè che consegna ad Erodiade la testa del Battista su un piatto nella narrazione evangelica costituisce la prosecuzione immediata degli episodi precedenti; viceversa, l’episodio non si trova raffigurato a sé stante nei maggiori cicli figurativi sulla vita del santo - quali la Porta sud o l’”Altare d’argento” -, nei quali la vicenda della presentazione della testa del Battista avviene al banchetto di Erode (episodio che nel parato è in qualche modo anticipato e posto a pendant della Danza di Salomè). Nel successivo ricamo sono raffigurati i discepoli del Battista che ne trasportano il corpo in una sorta di processione simile a quella descritta dall’anonimo del XV secolo il quale, a sua volta, ha evoluto il racconto di Matteo (14,12) e Marco (6,29): “I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro”. La deposizione nel sepolcro è l’episodio rappresentato nell’ultimo riquadro dello stolone, in continuità con la tradizione iconografica artistica dei mosaici della volta del Battistero e della formella bronzea nella Porta sud di Andrea Pisano, mentre i passi evangelici di riferimento sono gli stessi validi per la storia precedente. Il ciclo si chiude quindi con l’evento metafisico della discesa di Cristo al Limbo a liberazione dei giusti che l'hanno preceduta, tra cui Giovanni. L’evento, assente nella narrazione dei Vangeli, si trova invece nella “Vita di S. Giovambattista”, nella “Legenda Aurea” di Jacopo da Varazze e nella “Divina Commedia” (Inferno, VI, 46-63), sulla base della teologia di sant’Agostino e di san Tommaso d’Aquino (Sum. theol., Suppl. 69 5), a sua volta fiorita sul Credo - “...Morì e fu sepolto; discese agli Inferi; il terzo giorno resuscitò da morte…- , e fondata su Pietro I (3,18-20): “Cristo è morto [...] E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione;...”.