Descrizione
Statua virile a tutto tondo, calva e dalla lunga barba liscia scriminata al centro. La figura regge con la sinistra un'aquila acefala, ed è vestita all’antica, con tunica e mantello.
Notizie storico critiche
Kreytenberg per primo ricondusse la statua in oggetto al gruppo di sculture provenienti dalle cuspidi e i tabernacoli della Porta del Campanile sul lato sud-ovest del Duomo di Firenze, delle quali sono disponibili poche notizie. Genericamente menzionate da Toesca (TOESCA 1951, p. 363, n.110) come “molto mediocri”, furono giudicate dai Paatz (PAATZ 1952, III, p.365) "di maniera dell'Orcagna” e quindi del terzo quarto del XIV secolo. L’antica facciata del Duomo, progettata e realizzata da Arnolfo di Cambio, risulta documentata da un’illustrazione di Bernardo Poccetti che ne ricostruisce l’aspetto precedente alla demolizione nel 1587. Per le nicchie del portale principale Arnolfo aveva programmato un ciclo di apostoli, eseguito probabilmente poco dopo la sua morte, forse fra il 1318 e il 1320. Delle sedici figure previste ne furono realizzate solo dieci, otto delle quali vennero rintracciate da Kreytenberg sopra la Porta del Campanile (KREYTENBERG 1977, pp. 13-29; KREYTENBERG 1981, pp. 2-9). L’altezza delle statue (tutte di circa 70 cm), unitamente ad alcuni elementi iconografici ricorrenti (come la presenza dell’attributo del libro), hanno indotto lo studioso a ritenere che esse facessero parte del progetto di Arnolfo di Cambio.
La minore qualità della statua rispetto ai lavori autografi del maestro lascia presupporre che essa fu realizzata dalla mano di un allievo. Inoltre, le differenze di stili nelle sculture provenienti dall’antica facciata del Duomo pongono il problema della sequenza del lavoro di Arnolfo a Firenze e della collaborazione degli aiuti. Secondo alcuni studiosi, questi potrebbero essere giunti a Firenze direttamente da Roma, secondo altri essi facevano parte di una maestranza toscana legata alla cerchia di Nicola Pisano.
Relazione iconografico religiosa
L'accostamento di ogni Evangelista a una particolare creatura simbolica deriva da due passi delle Sacre Scritture che, nel corso dei secoli, hanno suscitato numerose interpretazioni: Ez. 1, 1-28 e Ap. 4, 1-11. Ireneo e altri autori pongono in relazione i redattori dei quattro vangeli con i quattro “esseri” della visione di Ezechiele e con i quattro viventi ricoperti di occhi dell'Apocalisse. Tale correlazione costituì il fondamento del pensiero teologico sulla sostanziale unità dei vangeli e sul quadruplice aspetto di Cristo. L'assegnazione di una particolare creatura simbolica a ciascun evangelista rimase a lungo un arduo problema. Fu san Girolamo a contribuire in modo decisivo a dare loro un'impronta canonica sulla base del contenuto dei paragrafi iniziali di ogni vangelo (In Ezechielem, I, 1; PL, XXV, col. 15ss.) e in linea con la tradizione biblica. Gli incipit dei quattro testi sacri furono investiti di un alto valore mistico-simbolico, che, a sua volta, fu trasmesso agli stessi esseri alati. Giovanni, in particolare, venne associato all'aquila sulla base del suo inno al Verbo.
A partire dal IV secolo, la specifica rappresentazione naturalistica dei quattro Evangelisti compare sia nelle pitture catacombali, sia nella plastica funeraria. I primi esempi conosciuti oscillano tra un intento ieratico, con immagini statiche legate al Cristo in maestà, e impianti più narrativi, anche se simbolici. La tematica decolla di pari passo con l’introduzione della simbologia visionaria dei Viventi suggestionata dalla più antica arte del Mediterraneo. Tra le prime testimonianze di V secolo figura la coperta dell’Evangeliario del Tesoro del Duomo di Milano, nella quale i busti degli Evangelisti appaiono collegati con i rispettivi simboli. Tale iconografia è connessa, a partire dal VI secolo, con la diffusione delle immagini iconiche funzionali a un sempre crescente culto dei santi. Fanno capo a questa tendenza avori databili proprio al VI secolo, come la Cattedra del vescovo Massimiano a Ravenna. In epoca altomedievale i quattro evangelisti accompagnati dai relativi simboli zoomorfi appaiono, principalmente negli incipit degli evangelari, seduti allo scrittoio nell’atto di redigere i sacri libri, come si vede ad esempio nell’esemplare di S. Agostino a Cambridge, nel codice purpureo di Rossano Calabro e in quello conservato nell’abbazia di St. Maximin di Treviri. La tematica, estremamente rara nella pittura monumentale occidentale, trova particolare diffusione nei codici miniati di IX e X secolo prodotti in Occidente e in Oriente. Nei secoli successivi essa inizia a diffondersi anche a livello monumentale, in relazione alle immagini di Maiestas Domini e alla Vergine col Bambino in trono.