Descrizione
La statua, acefala e non lavorata nella parte tergale, rappresenta un personaggio in piedi che indossa una veste lunga e dotata di un colletto a risvolti; adagiato sulla spalla sinistra è un ampio mantello, i cui lembi son tenuti assieme sull'avambraccio sinistro, dove si appoggia anche una tavoletta scrittoria.
Notizie storico critiche
L'opera in esame è oggi universalmente riconosciuta come la scultura che proviene dal tabernacolo dell'Arte della Lana, sul lato occidentale di Orsanmichele, e che venne acquistata dall'Opera del Duomo (sussidiaria di quella stessa Arte) nell'aprile del 1428, per la somma considerevolmente alta di 175 fiorini (Poggi 1909).
Julius von Schlosser (1912) collegò a questo dato d'archivio un ricordo di Lorenzo Ghiberti, che, parlando di Andrea Pisano nei suoi Commentari, scritti intorno al 1450, scrisse che egli aveva fatto «una figura di Santo Stefano che fu posta nella faccia dinanzi a Santa Reparata dalla parte del Campanile». Fu Valentiner (1954) a identificare la statua ricordata dal Ghiberti e dai documenti dell'Opera nella scultura acefala che nel 1936 era stata portata nel Museo dal cortile di Palazzo Medici Riccardi, dove era pervenuta a seguito della demolizione della facciata trecentesca del duomo, nel 1587.
Sebbene rifiutata da Krautheimer (1970), la proposta di Valentiner è stata accolta dalla maggior parte degli studiosi (Becherucci-Brunetti 1969; Kreytenberg 1984; Moskowitz 1986) e successivamente circostanziata dalla Finiello Zervas (1996) e dalla Neri Lusanna (2012), che hanno approfondito la genesi del Santo Stefano all'interno del cantiere di Orsanmichele, notando in particolare la contiguità d'impostazione spaziale di questa figura, all'interno della nicchia originaria, e delle statue dei Re e delle Sibille che Andrea scolpì per il Campanile del Duomo, parimenti entro nicchie poligonali (1340-1343 circa).
Relazione iconografico religiosa
La statua era stata allogata dall'Arte della Lana per ornare il proprio tabernacolo sul lato occidentale di Orsanmichele, in ottemperanza all'invito di onorare i rispettivi patroni, rivolto dal Comune di Firenze alle dodici Arti Maggiori e alla Parte Guelfa cittadine nel 1339. Le immagini dei santi patroni potevano essere dipinte su tavola, affrescate oppure scolpite; nel giorno festivo del proprio santo, l'Arte interessata avrebbe offerto oblazioni in ceri e candele e i denari così raccolti sarebbero stati raccolti dalla Compagnia di Orsanmiche e donati ai poveri della città; quesi santi venivano in un certo senso a porsi come guardiani e protettori non soltanto delle corporazioni ma di tutto il popolo fiorentino, e in particolare – data la singolarissima funzione di Orsanmichele come chiesa-granaio – apparivano i garanti del mutuo soccorso e della carità, valori alla base del benessere collettivo.