Descrizione
La lunetta rappresenta, al centro, una figura femminile in un manto azzurro che regge un volume dalla coperta rossa; ella siede su un trono, entro una nicchia architettonica decorata con motivi geometrici; sopra il suo capo splende una stella di Davide, a sei punte; mentre in basso, sul basamento, si intravedono i rilievi di alcuni stemmi. Davanti alla donna sono alcuni personaggi, vestiti in abiti medioevali, che recano ciascuno un oggetto che funge da attributo iconografico (un rotolo di seta, una pergamena, un'incudine); sono tutti in piedi eccetto l'uomo che porta una massa di lana, prostrato in ginocchio verso la figura femminile.
Notizie storico critiche
Il dipinto, un vero e proprio "cartone" propedeutico alla trasposizione in mosaico sulla lunetta del portale sinistro della facciata del duomo, venne eseguito dal pittore genovese Niccolò Barabino, su richiesta dell'architetto Emilio De Fabris, negli anni 1882-1883. Il Barabino era subentrato in quest'impresa ad Amos Cassioli, che nel 1879 aveva licenziato una lunetta relativa al portale di sinistra ma poi – per incomprensioni sorte con Augusto Conti, autore del programma iconografico della facciata – aveva abbandonato l'incarico (Campana 1995).
Questa e le altre due composizioni del Barabino furono quindi tradotte in mosaico dalla Società Musiva di Venezia e le lunette finali, una volta scoperte alla vista del pubblico nel 1888, incontrarono il consenso generale. Fra le voci discordi vi fu quella di Diego Martelli, che in un articolo apparso sul "Fieramosca" rimproverò l'«errore di gusto» del Barabino, parendogli che l'artista si fosse ispirato non al medioevo bensì «a un lusso di piegamenti ed una vaghezza di Toni che sta fra il Della Porta e il Tiepolo», così riconoscendogli implicitamente una sensibilità eclettica e non già una premura storicistica. Del resto, pochi anni dopo un biografo dell'artista (De Fonseca 1892) scriveva che «se le lunette non sono in perfetta consonanza collo stile architettonico della facciata è perché l'artista amò meglio fare secondo il suo genio anziché imitare l'antico». Le immagini sacre del Barabino, infatti, divergono molto dal gusto purista di cui aveva dato prova il Cassioli e si avvicinano piuttosto – per l'atmosfera rapita e sognante, sebbene saldamente ancorata all'oggettività della rappresentazione del "dato reale" – a quella pittura religiosa moderna, intrisa di denso misticismo, propugnata da Domenico Morelli (Campana 2005).
La tela del Barabino, passata nelle mani dell'Opera di Santa Maria del Fiore, nel 1891 risultava esposta nel Museo; è stata alluvionata nel novembre del 1966 ed attualmente si trova nei depositi (Cerretelli 1987).
Relazione iconografico religiosa
Il vasto programma iconografico ideato dal filosofo e letterato Augusto Conti, oltre a richiamare le figure veterotestamentarie che avevano preannunziato l'avvento di Cristo grazie all'Incarnazione nel seno della Vergine, e l'affermarsi della Chiesa, mirava ad esprirere «la grandezza del Cristianesimo in se stesso, e le sue armonie con la Civiltà, segnatamente per le ispirazioni gentili, che derivano dal Culto cristiano alla Madre del Redentore»: ovvero «l'Opere di beneficenza, l'Arti utili, le Scienze, l'Arti Belle, gli affetti di Famiglia, di patria, di Carità universale».
Relativamente alle tre lunette sopra le porte d'ingresso della facciata, dunque, esse dovevano esprimere rispettivamente Maria come promotrice della Carità, ossia "Consolatrix afflictorum" (a sinistra, accerchiata dai fondatori delle Opere pie fiorentine); Maria quale mediatrice presso Cristo, ovvero "Mater divinae gratiae" (al centro, assieme agli altri patroni di Firenze che intercedono per la città); Maria come sostegno della Fede, cioè "Ausilium christianorum" (a destra, attorniata dai rappresentanti delle antiche corporazioni fiorentine).
Secondo le parole dello stesso Conti (1887), dunque, la lunetta in questione «rappresenta le Arti del Comune di Firenze; le quali, segnatamente l'Arte della Lana, così bene meritarono dell'edificazione di questa Cattedrale. Ivi, la Fede siede in Trono, per dimostrare che il sentimento religioso ispirò a quei tempi anche l'Arti utili, non che l'Arti belle ne' Comuni potenti e ricchissimi d'Italia. Esse inalzarono l'edifizio d'Or San Michele, collocandovi, a onore di Maria, lo stupendo Tabernacolo dell'Orcagna. Perciò sulla base del Trono veggonsi gli Stemmi d'alcune Arti maggiori. Alla destra della Fede, colui che veste d'ermellino, rappresenta l'arte degli Speziali; un secondo con un arme, quella degli Spadaj; un terzo con masse di Lana rappresenta quell'Arte. Alla sinistra, v'ha un Notaio con pergamena; poi, uno della Seta con drappo serico disteso; e finalmente uno del Cambio. La Vergine Maria è accennata col motto: Auxilium Christianorum».