Descrizione
Il dipinto si presenta diviso in tre parti. Una centrale con l’immagine della santa, e due laterali a loro volta suddivise in tre scomparti. Nell’immagine centrale è raffigurata Santa Reparata avvolta in un mantello rosso cangiante in ocra bordato in oro e chiuso all’altezza del petto da un gioiello. La santa sorregge con la mano sinistra un libro e la palma del martirio, con la destra l’asta dello stendardo con la croce del popolo fiorentino (rossa in campo bianco) sul quale si staglia la grande aureola che circonda la testa della santa. Alla destra della santa, a partire dall’alto, è rappresentata la scena in cui un manigoldo versa piombo bollente sulla testa di Santa Reparata inginocchiata, seguita dalla scena con Santa Reparata gettata in una fornace ardente e dalla figura di San Giovanni Battista nel deserto. Alla sinistra della santa la scena con due soldati che tormentano il petto di Santa Reparata con lastre infuocate e la decapitazione di Santa Reparata, seguita dalla figura di San Zanobi Vescovo in un paesaggio
Notizie storico critiche
Di “una pittura e tavola di Santa Reparata” scrive nel suo diario Agostino Lapini, in data 17 Ottobre 1584, riferendosi ad un dipinto che si trovava sopra il sarcofago che aveva contenuto le spoglie di San Zanobi prima che queste fossero trasferite nell’arca eseguita da Lorenzo Ghiberti nel 1439 e posta all’altare della cappella centrale della Tribuna. A questa antica testimonianza, cui si riferisce il Poggi nell’indicare la possibile provenienza della tavola, seguito più tardi dai Paatz (1952), aveva accennato anche il Del Migliore (1684) precisando come quel dipinto nella cripta fosse l’unico in cui fosse rappresentata Santa Reparata e come venisse scoperto una volta all’anno nel giorno della sua festa che ricorre l’8 di ottobre. Nell’elenco degli oggetti d’arte destinati al nuovo museo dell’opera stilato nel 1886 (Atti 1887) la tavola è segnalata con la sola indicazione del secolo: XIV. Segue il catalogo del 1891 dove la tavola è detta di “scuola fiorentina sec. XIV, seconda metà”, e quello stilato dal Poggi che ne definisce l’ambito come “Scuola fiorentina secolo XV, prima metà”, precisando come il dipinto si presenti “molto restaurato”. Il Rossi, nella guida per la visita al Museo (1948 ?) e successivamente nel 1964, giudica la tavola di “scuola fiorentina non posteriore alla prima metà del XV secolo” per la presenza delle storiette ai lati del dipinto finchè la Becherucci (1969) ritorna a collocare l’opera in un momento tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo, avvicinandola ad un ambito di osservanza tardo orcagnesca e in particolare a Lorenzo di Niccolò di Pietro Gerini oggi meglio identificato con il nome di Lorenzo di Niccolò di Martino (Firenze, not. 1373 -1412). All’ambito orcagnesco, agli inizi XV secolo, la tavola viene ancora ricondotta da Preti (1989), che la descrive ancora danneggiata e malamente ridipinta e non prende in considerazione la scheda ministeriale di Filippo Todini (1980) che, pur convenendo che la tavola possa essere ricondotta all’ambito tardo orcagnesco della fine del XIV secolo, suppone un intervento di rifacimento della tavola stessa nella seconda metà del XV secolo ad opera del Maestro di Marradi. Questo pittore, di cui si hanno notizie dal 1498 al 1513, fu identificato con questo appellativo da Federico Zeri che ricondusse intorno a questa denominazione un corpus di opere la maggior parte delle quali proviene dalla Badia vallombrosana di Santa Reparata al Borgo nei pressi di Marradi (F. Zeri, La mostra “Arte in Valdelsa”a Certaldo, in Bollettino d’arte, pp. 249, 258). Egli si distingue per uno stile caratterizzato dall’adesione a schemi compositivi e a moduli stilistici senz’altro arcaizzanti ma anche precorritori, come osserva sottilmente lo Zeri, nel loro “purismo”, dell’arte di Fra Bartolomeo e Mariotto Albertinelli. Per di più è stato riscontrato come egli intervenisse in riquadrature di dipinti antichi o attualizzazioni di dipinti leggermente superati di artisti trecenteschi o di primo quattrocento come Taddeo Gaddi e Lorenzo Monaco (Vedi Filippini C. in Riquadrature e restauri di polittici trecenteschi o pale d’altare nella seconda metà del Quattrocento in Maestri e Botteghe. Pittura a Firenze alla fine del Quattrocento, Catalogo della Mostra, Firenze Palazzo Strozzi 1992-1993, Firenze, 1992, pp. 199-209, scheda 8.1b). In questo senso è indicativo quanto riferito dalla Frosinini (1995) che riporta la citazione di “un colmo di Santa Liberata colle storie”, che la studiosa riconduce alla tavola attribuibile a Lorenzo di Niccolò, tra i dipinti appartenenti alla cattedrale e destinati ad essere venduti e per i quali si richiede la stima del pittore Bicci di Lorenzo nel 1439. Il dipinto, evidentemente, non fu alienato, ma in un momento successivo “ammodernato” da un pittore così individuato nel maestro di Marradi. Il restauro, cui il dipinto è stato sottoposto nel 1989 dalla Soprintendenza fiorentina per mano di Stefano Scarpelli, dalle cui risultanze non è seguito un approfondimento critico sull’opera, sembra confermare l’intervento di un artista della fine del XV secolo su un dipinto più antico. La scheda di restauro, manoscritta, riferisce che “sotto le ridipinture del Maestro di Marradi esiste un altro dipinto molto più antico probabilmente della fine dell’ XI secolo” e anche che “la forma della tavola originariamente a cuspide è stata tagliata e fatta rettangolare”. La pittura originale non ha mancanze rilevanti ed esiste tutta nel complesso del dipinto ma, si aggiunge nella scheda, “la scelta è stata quella di non togliere la ridipintura” perché costituisce “pur sempre un importante documento storico”. L’intuizione del Todini (1980), che aveva visto l’opera prima del restauro, era stata dunque giusta. Da una foto precedente al restauro l’intervento del Maestro di Marradi, specialmente nella figura della santa, si intuisce, infatti, molto di più di quanto non si faccia ora che il dipinto è stato restaurato. Il volto della santa, in particolare, mostrava meno asprezze e più tangenze con lo stile dell’anonimo che specialmente nei volti femminili si caratterizza per una raffinatezza edulcorata quale possiamo riscontrare proprio nei volti di due sante rappresentanti entrambe Santa Reparata in due dipinti eseguiti per la badia di Marradi, oggi conservati nella pieve di San Lorenzo di quella città, la Madonna col bambino e i santi Benedetto, Reparata, Giovanni Gualberto e Bernardo degli Uberti e il paliotto d’altare con Santa Reparata. Qui la santa, sebbene con abito di foggia più moderna, impugna ugualmente l’asta dello stendardo con la croce del popolo fiorentino rossa in campo bianco che le sventola dietro la testa, e reca al centro della fronte, all’attaccatura dei capelli che poi si raccolgono sulla nuca e scendono sulle spalle, un gioiello, proprio come nel nostro dipinto. Tornando alle risultanze del restauro che, sottostante al dipinto di fine Quattrocento, denuncia uno strato pittorico che potrebbe risalire alla fine dell’XI secolo, si potrebbe supporre che questa primitiva tavola fosse stata dedicato alla santa eponima della chiesa in un momento in cui, dalla chiesa di San Lorenzo, vi erano ormai state traslate anche le spoglie di San Zanobi. Lo stretto rapporto tra i due santi entrambi legati alla vittoria dei fiorentini su gli ostrogoti di Radagasio nel 406 ottenuta secondo la leggenda per intercessione della santa, potrebbe essere all’origine della realizzazione di un dipinto a lei dedicato e posto vicino al corpo del santo vescovo. In un momento successivo il dipinto potrebbe essere stato aggiornato da un pittore della fine del Trecento. Per quest’ultimo, allora, si potrebbe mantenere l’attribuzione della Becherucci a Lorenzo di Niccolò di Martino (Firenze 1373 circa – 1412 circa) cui risalirebbe l’esecuzione del dipinto originale con le storie laterali che denunciano ancora, nonostante le ridipinture, un forte sapore trecentesco, mentre dichiaratamente tardo quattrocentesche si rivelano le figure del San Giovanni Battista e di San Zanobi, ulteriormente rivelatrici dell’intervento del Maestro di Marradi.
Relazione iconografico religiosa
Santa Reparata è la santa titolare della primitiva cattedrale di Firenze sul cui sito sorse la cattedrale di Santa Maria del Fiore. Secondo il Martirologio romano, che la ricorda al giorno 8 di ottobre, Reparata era una giovane di Cesarea di Palestina che fu martirizzata al tempo dell’imperatore Decio (250 d. C.) in seguito al suo rifiuto di sacrificare agli idoli. Sottoposta a varie prove la santa viene poi uccisa con un colpo di clava. Reparata è anche ricordata nel Martirologio del Venerabile Beda che risale al IX secolo, all’8 di ottobre. Il suo culto fu probabilmente introdotto in Italia e anche a Firenze da mercanti orientali siriaci ed in questa città si intreccia con la presenza della chiesa a lei dedicata che, nelle testimonianze scritte, compare a partire dal IX secolo col nome di Plebe Sancte Reparate. Matteo Villani nella sua Cronica (III, p. 85) racconta che la leggenda della santa fu introdotta in città dagli stessi priori che nel 1353 vollero legare il nome di Santa Reparata alla vittoria dei fiorentini su Radagasio re dei Goti nel 406 d. C. ad opera del generale Stilicone. Il giorno della battaglia che sarebbe corrisposto a quello del martirio della Santa a Cesarea, circa un secolo e mezzo prima, questa sarebbe stata vista librarsi sopra la città con lo stendardo popolo fiorentino e molti giovani uscirono dalle mura cittadine per unirsi all'esercito romano di Stilicone. Oltre a questo dipinto a lei era dedicata un'altra tavola, sempre conservata al Museo dell'Opera del Duomo, e la sua effige si può riscontrare nel polittico giottesco, oggi sull'altare della cappella di San Bartolomeo. Per l'antica facciata arnolfiana della cattedrale le era stata dedicata una statua che oggi si trova nel Museo dell'Opera. La santa compare anche in due vetrate della cattedrale, nella navata destra, vicino al Vescovo Zanobi e nella cappella di San Barnaba, insieme al martire Miniato, mentre l'unica reliquia della santa posseduta dalla cattedrale è un suo piccolissimo frammento osseo, donato dal vescovo di Colle Val d'Elsa, Cosimo della Gherardesca nel 1605, conservato in un reliquiario del XV-XVI secolo.