Descrizione
Questo rilievo faceva parte di un complesso decorativo più ampio, realizzato da Baccio Bandinelli con l'ausilio dell'allievo Giovanni Bandini, che portò a termine l'opera alla morte del maestro. I rilievi, raffiguranti Nudi e Profeti (a detta del Vasari), erano posizionati lungo il recinto del coro della Cattedrale di Santa Maria del Fiore e si legavano iconograficamente, alle altre sculture a tutto tondo, posizionate un tempo sull'altare maggiore, raffiguranti: Adamo ed Eva, Cristo morto e Dio Padre. Questo insieme di sculture, mirava a sottolineare come il Nuovo Testamento affondasse le radici nel Vecchio e da esso prendesse corpo. La lastra ritrae una figura maschile, abbigliata all'antica, chiusa entro un panneggio pesante e compatto. Con molta probabilità, si tratta di un profeta, con il volto rivolto a sinistra, colto nell'atto di sorreggere con la mano sinistra un libro, unico attributo, e con la destra ad indicare verso l'alto. Secondo l'ordine originario (l'andamento era di tipo antiorario, iniziando dal lato destro della porta di ingresso e seguendo l'intero giro del coro) questo rilievo doveva essere il n. 12.
Notizie storico critiche
Questa lastra di marmo faceva parte del recinto dell'altare maggiore del Duomo che andò a sostituire quello preesistente realizzato in legno ed eretto, su progetto del Brunelleschi, tra il 1437 e il 1439. Nel 1547 Cosimo I, desideroso di affermare la legittimità del ducato appena ereditato, affidò a Baccio Bandinelli e a Giuliano di Baccio d’Agnolo, che curò la parte architettonica, il prestigioso incarico di progettare il nuovo coro della fabbrica di Santa Maria del Fiore che, a differenza dei precedenti, avrebbe dovuto essere realizzato interamente in marmo. Come riferisce il Vasari, il basamento a lastre scolpite a rilievo era sormontato da pilastri e colonne sostenenti una balaustra di coronamento ed era ornato, alle estremità, da archi retti da colonne ioniche. L’opera, alla morte del Bandinelli nel 1560, rimasta incompiuta, venne infine ultimata dal suo allievo e collaboratore Giovanni Bandini (Baldinucci G., 1681, IX, p. 534). A detta di Lapini (Lapini A., 1900, p. 176) i rilievi vennero completati nel 1572 ma è arduo distinguere la mano del Bandinelli da quella del Bandini, essendosi l'allievo modellato sul maestro. Contestualizzando la decorazione, si evince come l’intero complesso di statue abbia subito l’influenza delle sessioni conciliari intorno al tema dell’eucarestia e alla sistemazione degli spazi presbiteriali, alla luce della rinnovata liturgia tridentina. Su ognuno dei lati del parapetto furono posti zoccoli aggettanti che Bandinelli decorò con rilievi raffiguranti profeti, apostoli e santi: un’ipotesi fra le più accreditate ma non certo l’unica (Lattuchella A., 2013, p. 27). Pare che il primo progetto prevedesse addirittura trecento rilievi, in bronzo, comprensivi di scene desunte dall’Antico Testamento. Per ognuna delle statue che riuscì a completare, compresi i Progenitori, il Cristo e il Dio Padre, Bandinelli scartò almeno una versione, ricominciando da capo la figura con un disegno diverso e di solito con un blocco più grande. Tra le letture operate sui rilievi, troviamo quella del Middeldorf (Middeldorf U., 1929, pp. 481- 482), il quale sostiene che le figure del Bandini si identificano per l'aspetto maggiormente classico e per una più spiccata vena ritrattistica, mentre quelle del Bandinelli presentano panneggi più frastagliati e meno compatti. Quanto ai temi che ispirarono l’artista, come riportato nel testo La "Metropolitana fiorentina illustrata", in riferimento alla lettura iconografica delle suddette figure: “non vedendosi in veruna di esse nessuna caratteristica che possa determinare l’intenzione dell’artista, convien credere che il Bandinelli, nell’eseguirle, non abbia seguita che la propria fantasia” (Del Rosso, Molini, Nelli, 1820, p. 44). Il progetto si rivelò “epico nella sua dimensione e concezione” e “sicuramente atto ad emulare e persino a sorpassare, le grandi imprese di Michelangelo” (Lavin I., 1999, p. 26). Mentre Vasari lo criticò aspramente, ritenendolo inadeguato per la “poca grazia” e per la mancanza di “debita proporzione” e di “giudizio” (Vasari G., 1568, ed. 1997, p. 980). A partire dal 23 aprile 1830, l’architetto Gaetano Baccani portò avanti un programma di radicale trasformazione della fabbrica e del coro. Vennero infatti eliminati il colonnato, gli archi, la balaustra di coronamento e ventiquattro degli ottantotto rilievi furono trasportati in una stanza del palazzo dell’Opera, per essere poi trasferiti, nel 1891, nel nuovo Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Si ha notizia inoltre che, alla mostra del Cinquecento toscano del 1940, fu esposta una serie di questi rilievi ma non è stato possibile identificare quali, per la mancanza delle riproduzioni nel catalogo.
Relazione iconografico religiosa
La scelta operata dal Bandinelli, di inserire figure di profeti a decorare il recinto del Coro, come riferisce il Vasari (Vasari G., 1568, ed. 1997, p. 979) è un chiaro rimando ai profeti ebraici del Vecchio Testamento, poiché il Cristianesimo non annovera profeti cristiani in senso proprio ed esclusivo. Le figure dei profeti, hanno una funzione didattica ben precisa. Nella Bibbia infatti, la funzione del "profeta", più che di predire, è di ammonire il popolo di Israele che si è allontanato dal suo Dio. Ne deriva quindi, anche nel Cattolicesimo, che il profeta è colui che opera attivamente nella storia, esercitando una funzione politica ed etica. Infatti, il profeta qui ritratto compie un gesto molto diffuso nell’iconografia cristiana e non solo. Si tratta del dito indice della mano sinistra alzato ad indicare verso l’alto. Uno dei primi a trattare il gesto dell’indigitazione, definendola una pratica già in uso, fu Leon Battista Alberti che nel suo trattato "Della Pittura" del 1435, scrisse: “E piacemi sia nella storia chi ammonisca e insegni a noi quello che ivi si faccio, o chiami con la mano a vedere […]” (Libro II, p. 42). Tale gesto, carico di spiritualità, inequivocabilmente può essere inteso come un invito a cercare Dio, a seguire un cammino di ascesa, verso la trascendenza. In tempi più recenti, il critico francese Andrè Chastel nel suo testo “Il gesto nell’arte”, individua quella che lui definisce "semantica del gesto". Egli infatti, individua l’indigitazione come segno visibile, per lo spettatore, di una retorica e comunicazione silenziosa. La bellezza trasversale del dito che il Profeta distende verso l’alto risiede proprio nella sua forza evocativa prima ancora che espressiva. Consiste nella sua vigoria didattica, nel suo potere stimolante. Il personaggio ritratto suggerisce allo spettatore che la vera prerogativa dell’essere umano rispetto ad ogni altra creatura è il raggiungimento di Dio e con esso l’aspirazione a mete superiori.