Descrizione
Il reliquiario costituisce la parte superiore di un insieme di diversi reliquiari. Il presente, basso e stretto, contiene la reliquia dell'osso del braccio di san Filippo. Esso è racchiuso in un cilindro di vetro contenuto entro un tempietto in argento dorato. Questo è composto di sei pilastrini scanalati, a sezione poligonale, con capitelli compositi. Ai pilastrini si addossano contrafforti con arcatelle a pieno centro, a loro volta delimitate da pilastrini simili agli altri, ma senza capitello. In apice ai pilastrini dei contrafforti sono collocate statuette di profeti. I sei pilastri maggiori sostengono invece una trabeazione dodecagonale, che a sua volta regge sei costoloni decorati con gattoni rampanti, racchiudenti una cupoletta vitrea. Alla base dei costoloni sono dei draghi alati.
Notizie storico critiche
Secondo il Mariti (1781) il braccio fu donato da Monaco di Mompi di Riccomanno de' Corbizzi. Questi era stato chierico a San Giovanni da giovane e poi, trasferitosi in oriente, era divenuto patriarca di Gerusalemme; in questa occasione egli aveva ottenuto la reliquia da Maria Comnena, vedova del del re di Gerusalemme Almerico, e l'aveva donata in voto a San Giovanni a Firenze. Prossimo alla morte incaricò del trasporto il priore della chiesa della Resurezione di Gerusalemme e decano di quella di Giaffa, il fiorentino Rainiero, il quale, dopo alcune difficoltà potè consegnarla a Giovanni da Velletri, vescovo di Firenze. Fu in tal ccasione fatta una sollenne celebrazione, cui parecipò tutto il popolo, tutto il clero e il podestà Rodolfo degli Alberti, conte di Capraia. Ancora il Mariti, documentatosi su varie fonti, riferisce che la reliquia era esposta il primo maggio, festa di San Filippo; il 23 e 24 giugno, festa del Battista patrono; il 6 novembre, per la dedicazione della chiesa, e il 13 gennaio, per la festa del Perdono. Coerente alla data che vi è inscritta, e da alcune notazioni tecniche fatta dalla Brunetti, è credibile che questa base sia stata posta a sostituzione di una più antica, ma di forma simile. Nella sua memoria il Mariti si appoggia a documenti del Gori del 1720 e a un inventario dello stesso anno, dove si diceva che il reliquiario del braccio poggiava su una cassetta con reliquie di altri santi, tra cui alcune di Pantaleone e del sasso di santo Stefano. Fu alla presenza del Gori che si decise di rassettare le reliquie del braccio con quell'altre, ponendo quest'ultime in una nuova cassetta, esagonale come la più antica. Tale nuova disposizione, dice ancora il Gori, fu fatta con un po' di disordine, come dimostra la placchetta con san Pantaleone, disposta orizzontalmente, invece che in verticale. Intorno al 1723 è anno in cui l'Holzmann si sta occupando di restaurare molti dei reliquiari della cattedrale. Il Mariti cita una provvisione del 1340 a rassettare la scatoletta con la quale il braccio di san Filippo era stato portato dall'Oriente. Nel 1422 è disposta la creazione di un reliquiario, creato nel 1425 dall'orafo Antonio di Piero del Vagliente. Tali informazioni provengono dalle carte strozziane citate dal Berti (1850) e riprese poi dal Frey, benché con prudenza, data la presenza di errori in questo documento. La reliquia è di nuovo citata dall'Albertini nel 1510, ma trascurando la descrizione del reliquiario, e così, sucessivamente, fanno Del Migliore, Richa e Lumachi. Il primo a soffermarsi a descriverlo è, appunto, il Mariti. Egli nota una goffa incongruenza tra la cassetta (che egli data stilisticamente al XII secolo) e il cilindro, e sospetta che anche la cupoletta possa essere successiva. Egli ritiene che il reliquiario, come altri, sia stato portato via e fuso, almeno parzialmente, dal cardinal Passerini, che lo prese con sè fuggendo assieme al cardinal Ippolito de' Medici, nel 1527. Sarà il Labarte, ne 1864, a parlare di un reliquiario del braccio di San Filippo, creduto perduto, ed eseguito da Antonio di Piero del Vagliente. Il Cavallucci cita il reliquiario ma non si sofferma a studiarlo. Gruyer (1875) riprende l'errata datazione del 1405 e lo descrive senza conoscerlo direttamente, riportando numerose inesattezze; trascurabile è anche la descrizione del Befani del 1884. Diversamente il Cocchi, nel 1901, riprende correttamente le notizie del Mariti. Il reliquiario è attribuito al del Vagliente anche nella voce del Del Vagliente nel Thieme-Becker del 1908. Ancora al Del Vagliente era attribuito nella "Mostra del tesoro di Firenze sacra", con datazione al 1425, e il Rossi, nella rassegna a suddetta mostra, lo commentò circa gli aspetti architettonici, tipici del XV secolo. La data del 1398, per la base, e del 1425 per il clindro del braccio sono ripetute successivamente dal Wackernagel, nel 1938; dal Paatz e, nel 1964, dal Rossi. La Becherucci ha riordinato nel catalogo del 1969 tutta la cronologia critica sull'opera, proponendo una convincente datazione ai primi del rinascimento per la custodia superiore, con confronti ad altri reliquiari e a altri esempi di statuaria primo quattrocentesca fiorentina, di influsso tardo gotico e brunelleschiano-donatelliano. Ella notò anche un accentuato donatellismo nella statuetta sommitale, assai differente dai profetini dei pilastri, e giunse a proporre il nome di Michelozzo come ideatore dello stesso. A queste idee si è attenuta la critica successiva, fino al fondamentale saggio di Bicchi del 1999, pur limitando alla sola statuetta sommitale l'attribuzione alla mano di Michelozzo .
Relazione iconografico religiosa
La forma brunelleschiana della lanterna rimanda al tema del Cristo-luce, secondo i riferimenti vetero e neotestamentari alla parola (2Sam 22, 29; Lc 11, 33) dei quali, il più esplicito è Ap 21, 23: "La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello". La reliquia di san Filippo, ancor più perché martire, associata fisicamente a questo simbolo cristologico di tipo luminoso, è esaltata nel valore di esempio per la fede cristiana; il suo essere visibile, attraverso il cilindro di vetro, la fa rassomigliare a lampade e bracieri promananti una luce, la cui fonte è il lacerto santo conservato. D'altronde, la reliquia stessa, come frammento fisico, è considerata dalla teologia cristiana nel significato di testimonianza fisica della santità, che illumina la fede del credente. Più in generale, poi, la tipologia architettonica, richiama l'idea del tempio, e diviene simbolo ecclesiastico: la reliquia ne è il contenuto, la ragione stessa di esistenza, come il martire e il suo sangue sono considerati, fin dai primordi della cristianità, il fondamento di tutta la Chiesa.