Descrizione
Questo rilievo faceva parte di un complesso decorativo più ampio, realizzato da Baccio Bandinelli con l'ausilio dell'allievo Giovanni Bandini, che portò a termine l'opera alla morte del maestro. I rilievi, raffiguranti Nudi e Profeti (a detta del Vasari), erano posizionati lungo il recinto del coro della Cattedrale di Santa Maria del Fiore e si legavano iconograficamente, alle altre sculture a tutto tondo, posizionate un tempo sull'altare maggiore, raffiguranti: Adamo ed Eva, Cristo morto e Dio Padre. Questo insieme di sculture, mirava a sottolineare come il Nuovo Testamento affondasse le radici nel Vecchio e da esso prendesse corpo. La lastra di marmo ritrae una figura mschile nuda, in piedi, vista da tergo. Il braccio sinistro è levato verso l'alto mentre il destro, è ripiegato sul fianco a toccare la natica destra. La schiena possente e dalla muscolatura ben definita, è attraversata da una cinghia che sorregge un drappo sul davanti. Come negli altri nudi della serie, anche in questo si sente fortissima l'influenza di Michelangelo. Nello spazio della lastra, domina infatti, la presenza fisica potente della figura, caratterizzata da forme massicce e consistenti. Si tratta di figure che spesso sfidano i tradizionali e accativanti canoni di bellezza e decoro. Aggressive e austere, tali figure, inevitabilmente inducono lo spettatore a ripensare al gesto e all'immagine che rappresentano: in questo caso una sorta di rifiuto a guardare e ascoltare. Secondo l'ordine originario (l'andamento era di tipo antiorario, iniziando a destra della porta di ingresso e seguendo l'intero giro del coro) questo rilievo doveva essere il n. 54.
Notizie storico critiche
Questa lastra di marmo faceva parte del recinto dell'altare maggiore del Duomo che andò a sostituire quello preesistente realizzato in legno ed eretto, su progetto del Brunelleschi, tra il 1437 e il 1439. Nel 1547 Cosimo I, desideroso di affermare la legittimità del ducato appena ereditato, affidò a Baccio Bandinelli e a Giuliano di Baccio d’Agnolo, che curò la parte architettonica, il prestigioso incarico di progettare il nuovo coro della fabbrica di Santa Maria del Fiore che, a differenza dei precedenti, avrebbe dovuto essere realizzato interamente in marmo. Come riferisce il Vasari, il basamento a lastre scolpite a rilievo era sormontato da pilastri e colonne sostenenti una balaustra di coronamento ed era ornato, alle estremità, da archi retti da colonne ioniche. L’opera, alla morte del Bandinelli nel 1560, rimasta incompiuta, venne infine ultimata dal suo allievo e collaboratore Giovanni Bandini (Baldinucci G., 1681, IX, p. 534). A detta di Lapini (Lapini A., 1900, p. 176) i rilievi vennero completati nel 1572 ma è arduo distinguere la mano del Bandinelli da quella del Bandini, essendosi l'allievo modellato sul maestro. Contestualizzando la decorazione, si evince come l’intero complesso di statue abbia subito l’influenza delle sessioni conciliari intorno al tema dell’eucarestia e alla sistemazione degli spazi presbiteriali, alla luce della rinnovata liturgia tridentina. Su ognuno dei lati del parapetto furono posti zoccoli aggettanti che Bandinelli decorò con rilievi raffiguranti profeti, apostoli e santi: un’ipotesi fra le più accreditate ma non certo l’unica (Lattuchella A., 2013, p. 27). Pare che il primo progetto prevedesse addirittura trecento rilievi, in bronzo, comprensivi di scene desunte dall’Antico Testamento. Per ognuna delle statue che riuscì a completare, compresi i Progenitori, il Cristo e il Dio Padre, Bandinelli scartò almeno una versione, ricominciando da capo la figura con un disegno diverso e di solito con un blocco più grande. Tra le letture operate sui rilievi, troviamo quella del Middeldorf (Middeldorf U., 1929, pp. 481- 482), il quale sostiene che le figure del Bandini si identificano per l'aspetto maggiormente classico e per una più spiccata vena ritrattistica, mentre quelle del Bandinelli presentano panneggi più frastagliati e meno compatti. Quanto ai temi che ispirarono l’artista, come riportato nel testo La "Metropolitana fiorentina illustrata", in riferimento alla lettura iconografica delle suddette figure: “non vedendosi in veruna di esse nessuna caratteristica che possa determinare l’intenzione dell’artista, convien credere che il Bandinelli, nell’eseguirle, non abbia seguita che la propria fantasia” (Del Rosso, Molini, Nelli, 1820, p. 44). Il progetto si rivelò “epico nella sua dimensione e concezione” e “sicuramente atto ad emulare e persino a sorpassare, le grandi imprese di Michelangelo” (Lavin I., 1999, p. 26). Mentre Vasari lo criticò aspramente, ritenendolo inadeguato per la “poca grazia” e per la mancanza di “debita proporzione” e di “giudizio” (Vasari G., 1568, ed. 1997, p. 980). A partire dal 23 aprile 1830, l’architetto Gaetano Baccani portò avanti un programma di radicale trasformazione della fabbrica e del coro. Vennero infatti eliminati il colonnato, gli archi, la balaustra di coronamento e ventiquattro degli ottantotto rilievi furono trasportati in una stanza del palazzo dell’Opera, per essere poi trasferiti, nel 1891, nel nuovo Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Si ha notizia inoltre che, alla mostra del Cinquecento toscano del 1940, fu esposta una serie di questi rilievi ma non è stato possibile identificare quali, per la mancanza delle riproduzioni nel catalogo.
Relazione iconografico religiosa
Il Bandinelli nella sua produzione disegnativa e scultorea rappresenta il culmine di quella linea fiorentina che, partita dalla Porta della Mandorla del Duomo con evidenti riferimenti all’antico, attraverso Masaccio, Donatello, Antonio del Pollaiolo e Bertoldo, era giunta, con Michelangelo e con la sua poetica di ispirazione neoplatonica, alla centralità della figura umana nuda. Il Bandinelli sembra dunque voler ribadire in alcune opere, esemplari anche per la collocazione ("Ercole e Caco" in piazza della Signoria, la "Pietà" della SS. Annunziata e ovviamente i Nudi virili del Coro del duomo di Firenze), la perentoria validità di tale scelta tematica. Del resto anche la scelta di alternare figure di Nudi a figure di Profeti, rimanda inevitabilmente a quanto Michelangelo, ossessione costante e principale antagonista per Bandinelli, aveva realizzato nella volta della Cappella Sistina. La rappresentazione del nudo trovava il suo necessario presupposto nel disegno, inteso quale principio teoretico, fondamento dell’arte stessa, secondo una interpretazione che, attraverso Cennino Cennini, Lorenzo Ghiberti e i più recenti apporti di Benedetto Varchi, era – per gli artisti fiorentini – divenuta corrente e riferimento obbligato nella concreta pratica artistica. Pur non avendo testimonianze dirette, può ragionevolmente ritenersi che fin dagli inizi, lo studio del nudo, dapprima tratto da modelli di statue antiche o moderne e poi anche dal vero, dovesse essere proposto ai giovani come pratica necessaria, anche se non sistematica. Del resto il Vasari, sostenitore dell'importanza del disegno, era convinto che nei «corpi ignudi [...] consiste la perfezione delle nostre arti».