Descrizione
Il reliquiario è in rame e argento dorati e smaltati. Esso poggia su un importante piede a tronco di cono con base polilobata, avente trilobi sulla parte alta del corpo; quindi è un tronco di piramide a base esagonale, con facce concave, recante medaglioni con vari stemmmi. Il fusto, breve ed esile, ha un nodo al centro con cornice a cresta aggettante. Al di sopra è la teca, in forma di tempio a pianta centrale a base esagonale. Nella base, entro specchi quadrilobati ogivali, su fondo blu, sono figurati sei santi, uno per ogni lato. Sopra, sei archi scanditi da archetti rampanti sono centrati da finestrelle rettangolari in cristallo da cui si espongono altrettante reliquie. La trabeazione vede una copertura spiovente, terminante in un gradino esagonale, recante oculi dipinti con figure di santi su fondo blu. Alla sommità è una cupola tegolata, a cipolla, sulla quale è un podio a vaso, sostenente una statuetta di sant'Antonio abate leggente, con pastorale.
Notizie storico critiche
Sappiamo dai documenti raccolti dal Poggi che nel 1478 il canonico Filippo Alamanni s'impegnava nel commissionare un reliquiario per sant'Antonio, di cui era devoto. Cocchi e Dorini pubblicarono invece una notizia tratta dal Registro dei Benefizi di Parte Guelfa con la commissione dei Capitani all'orafo Salvi di un reliquairio in rame e argento dorati, per contenere alcune reliquie, da collocare nella cappella di cui avevano il patronato in Duomo, ovvero quella nella tribuna sud, di San Vittore, santo al quale i guelfi avevano consacrato la loro vittoria a Cascina. A quel santo i Guelfi aggiunsero appunto l'intitolazione ad Antonio abate, perché nel giorno del quale si commemora la memoria di questo santo (il 17 gennaio), i guelfi erano rientrati a Firenze a seguito del tumulto dei Ciompi. Nel 1463, per mantenere l'onore di accogliervi il Sacramento, fu finanziato un suo abbellimento, che fu poi completato nel 1514. Nel 1511, infatti, avvenne la vera commissione, con cui la Parte Guelfa intendeva riaffermare il proprio prestigio. Nella deliberazione dei Capitani del 1514, che premetteva alla consegna al Duomo del nuovo reliquiario, essa sarebbe avvenuta, fu scritto, in onore della Madonna, e dei santi Antonio abate, Sebastiano e San Ludovico di Francia, loro patroni. Nel Duomo rimase fino al 1954. L'Holzamn lo restaurò nel 1702. Al 1705 risale la ridoratura uniforme; mentre successiva è, forse, la ricostruzione della parte lignea del piede. Le notizie documentarie sono riportate da Minerbetti-Cionacci, che citano il reliquiario in occasione della relazione del Minerbetti a Cosimo II e della Visita pastorale dell'Arcivescovo Niccolini. Poco altro aggiunge il Del Migliore. In età moderna ci si è interessati a comprendere l'autore, di cui si conosceva solo il cognome "Salvi". Il Cocchi propose di identificarlo con Salvio di Marino di Pietro, orafo immatricolato nel 1475. Il Bunt notò invece l'affinità tra questo reliquiario e quello di San Girolamo, e per entrambi propose il nome di Antonio di Salvi, orafo impegnato all'opera nel Dossale d'argento, per la parte col Festino d'Erode. Il Rossi nel 1933 non accolse l'attribuzione, perché non vide affinità col Dossale. Dopo semplici accenni alla proposta del Bunt da parte di Serra e di Wackernagel, fu lo Steingräber a ricostruire il corpus di opere di Antonio di Salvi, memore di forme pollaiolesche, inserendovi convincentemente anche questo reliquiario. A queste nuove argomentazioni si "convertì" anche il Rossi nel 1964. La Becherucci, nel catalogo del 1969, si interrogò sull'autore del disegno degli smalti, che ella vedeva affine a quelli del Reliquairio del Libretto, e per i quali prudentemente pensava a Raffaellino del Garbo. La statuetta, invece, per i modi pollaioleschi, fu anche da lei attribuita ad Antonio di Salvi. A quest'attribuzione si attenne la critica successiva: Liscia nel 1984, Preti nel 1989 e Bicchi nel 1999.
Relazione iconografico religiosa
La forma del calice ha una forte valenza architettonica, simbolica della Ecclesia, ma include anche figurazioni e simboli civici e di santi, i quali, a loro volta, rimandano a questioni riguardanti vicende mondane, legate alla fazione Guelfa committente. Volutamente questi simboli sono inseriti come parti di quest'architettura, a dirsene membrature imprescindibili, sostegni, pilastri. Il fondamento è simbolicamente Firenze Guelfa, rappresentata dai suoi simboli collocati sul piede; le colonne portanti sono i dodici santi dipinti in corrispondenza dei lati e degli spigoli della teca; il coronamento è sant'Antonio abate, "principe" dei protettori del partito committente e della cappella. Quet'ultima però, era anche privilegiata del Santissimo Sacramento. A questa sua funzione rimanda la forma templare, per richiamo al Vangelo (Gv 13, 25: "Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo ricostruirò»") e cioé in qualità di riferimento al Corpo di Cristo e alla particola.