Descrizione
La placchetta rettangolare – inserita sul verso del reliquiario, nello scomparto a destra del tempietto esagonale – rappresenta una scena concitata: in un interno, caratterizzato dalla presenza di due colonne, è entrato un leone che alza la zampa, dolorante, la zampa anteriore destra; verso di lui si china un monaco barbuto mentre, a destra e a sinistra, altri monaci fuggono spaventati.
Notizie storico critiche
Le prime informazioni sul reliquiario di San Girolamo sono fornite dalle iscrizioni che lo corredano: da esse apprendiamo che le reliquie ivi contenute (un osso del braccio e la mandibola) provengono dal consistente nucleo di resti sacri, o presunti tali, donati alla Cattedrale (dietro una contropartita in denaro) con il consenso di papa Eugenio IV da tal Federigo di Chiaromonte, il quale, durante il Concilio del 1439, andava spacciandosi per ex-abate di due monasteri greci; ricaviamo altresì che la realizzazione del reliquiario si deve al canonico Jacopo Manelli, che vi provvide nel 1487. Infatti – come conferma il Diario di Luca Landucci (ed. 1883) – «a dì 30 di settembre 1487, si trasse le reliquie di San Girolamo, cioè una mascella e un osso del braccio, dell'altare della † di Santa Maria del Fiore, e furono legate in ariento e oro, molto riccamente, con grande spesa. E fecesi una bella processione, e posta in detta Cappella molto divotamente. E questo fece di sua proprio spesa el laldabile messer Iacopo Manegli, calonaco in detta chiesa. E dissesi, aveva speso 500 fiorini d'oro, e oltre a questo, aveva dotato una Cappella. E ogn'anno va questa bella reliquia a processione divotamente».
Al di là dell'aspetto cultuale, cui si limitano i testi più antichi (Del Migliore 1684, Minerbetti-Cionacci 1685, Richa 1757), le prime osservazioni sul manufatto si devono ad Arnaldo Cocchi (1901 e 1903), che segnalava, grazie ad un documento del 1693, un intervento di restauro compiuto dall'argentiere Bernardo Holzman. Fu il Bunt (1926) ad avanzare il nome di Antonio di Salvi quale autore del reliquiario, grazie al confronto tra questo e quello di Sant'Antonio Abate; la proposta fu inizialmente rifiutata dal Rossi (1933-1934) e dai Paatz (1952) che pensavano ad Antonio del Pollaiolo, ma venne accolta e circostanziata da Erich Steingraber (1955), adducendo un ulteriore confronto tra le figurine degli angeli e quella della Salomè danzante nello scomparto eseguito da Antonio di Salvi nel 1477 per l'Altare d'argento. Dopo il puntuale contributo di Luisa Becherucci nel catalogo del Museo dell'Opera (1969-1970), un'attenta analisi del reliquiario è stata fatta da Letizia Bencini nella scheda OA del 1987, grazie agli importanti studi frattanto compiuti da Dora Liscia Bemporad (1980, 1984 e 1985), la quale inseriva e giustificava le affinità ma anche le divergenze stilistiche di questa prova di Antonio di Salvi rispetto alla più nota produzione di Antonio del Pollaiolo mediante un'indagine sulla bottega di quest'ultimo: Antonio di Salvi e il parente Francesco di Giovanni si immatricolarono assieme nel 1474 e nel 1477 presero assieme una bottega in via Vacchereccia, instaurando una collaborazione che durò diversi anni, della quale, oltre al pannello dell'Altare d'argento, sono frutto anche due "paci" smaltate della basilica dell'Impruneta e – appunto – il reliquiario di San Girolamo. Secondo la studiosa, infatti, in quest'opera sono da distinguere due mani: una, quella di Antonio di Salvi, cui va riferita l'esecuzione virtuosistica e felicissima della struttura architettonica e la fusione delle statuette in argento del santo e degli angeli; un'altra, quella di Francesco di Giovanni, responsabile delle placchette smaltate con le storie della vita del santo, realizzate con una pratica più incerta e compendiaria.
L'attribuzione del reliquario di San Girolamo, dopo esser stata supportata soltanto dai confronti stilistici, ha trovato infine una conferma definitiva durante la campagna di ricognizione sugli argenti fiorentini dal Quattro all'Ottocento (condotta dalla stessa Liscia Bemporad e dai suoi collaboratori: 1992-1993), in occasione della quale è emersa la presenza del cosiddetto "marchio di garanzia" (il leone sedente dell'Arte della Lana, per via del titolo legale dell'argento pari a dieci once e mezzo per libbra) e del marchio personale di Antonio di Salvi, ovvero una corolla fuori campo, che compare anche nella coperta del "Mare Magnum" della Santissima Annunziata, opera certa di questo artefice.
Relazione iconografico religiosa
La scelta dei motivi iconografici che decorano l'opera deriva, chiaramente, dal fatto che essa custodisce le reliquie di san Girolamo. Oltre alle statuette del santo e dei due angeli, fuse in argento, ciò che interessa maggiormente è la serie di placchette smaltate che decora il manufatto e che costituisce uno dei più completi cicli figurativi sulla vita di Girolamo, la cui elaborazione dipende non solo dalle fonti più comuni (come la Leggenda aurea) ma anche da tradizioni non ancora identificate: alcuni episodi infatti, come la scena in cui il santo si fa estrarre un dente, rimangono ad oggi oscuri.
In passato (Becherucci 1969-1970) è stato proposto che il ciclo prendesse le mosse dal piede del reliquiario, dove sarebbero effigiati episodi della gioventù di Girolamo, per poi proseguire in alto. In realtà, l'ordine di lettura delle scene è più complesso e, probabilmente, non è da intendere in senso cronologico-lineare bensì tematico. Propongo quindi che le scene di ciascuna "fascia" abbiano un denominatore comune e vadano in tal modo considerate.
Le scene circolari del gradino inferiore illustrano infatti – oltre a una figura inginocchiata e orante, senza barba, proprio al centro del manufatto, che Letizia Bencini (scheda OA, 1987) propone plausibilmente di identificare nel donatore Jacopo Mannelli – i luoghi in cui si è svolta la vita di Girolamo (una capanna; la porta di una città turrita; uno scriptorium) e le scene del suo congedo da questo mondo: l'ultima comunione e la morte.
Le scene polilobate del gradino superiore sembrano sviluppare il tema di Girolamo quale dottore della Chiesa: a Roma, è creato cardinale dal papa; a Costantinopoli, è istruito nella teologia da Gregorio Nazianzeno; e – dopo l'episodio non comprensibile del cavadenti – appare in disputa dottrinaria con un avversario, probabilmente un eretico (così suggerisce la mimica delle mani del santo, in atto di argomentare, e lo sguardo contrariato ed arcigno dell'interlocutore).
Nelle scene rettangolari maggiori che decorano il tempietto, invece, sembra suggerito il tema della rinuncia alle vanità terrene e della scelta del monachesimo: sul retro, partendo da sinistra, compare infatti una scena interpretabile come una predica di Girolamo a Roma, dove però incontra resistenze; segue la fuga per mare verso la Palestina, su una nave assieme ai discepoli con i quali vivrà in comunità; quindi – nella placchetta in esame – l'arrivo del leone, così come è narrato nella Leggenda aurea (ed. 1995, p. 807): «un giorno, verso il tramonto, mentre Gerolamo stava seduto coi confratelli per sentire la sacra lettura, entrò all'improvviso nel monastero un leone che zoppicava: a quella vista gli altri monaci fuggirono, ma Gerolamo gli si fece incontro come a un ospite». Dopo aver curato la zampa, ferita dalle spine, il santo comprese che l'animale era stato inviato da Dio per provvedere alle necessità del monastero: questa scena, pertanto, introduce la "divagazione" dell'aneddoto del leone, raccontato nelle placchette rettangolari minori.
Continuando invece la lettura delle placchette maggiori, sul fronte del reliquario, dopo il "sogno ciceroniano" col quale Girolamo ripudiò lo studio dei classici, troviamo in posizione frontale lo studio assiduo delle Scritture, che egli condusse nella solitudine del deserto; infine il santo che, pur ammalato, continua a prendersi cura della vita del monastero (episodio che si riallaccia alle scene in basso, sulla fine della sua vita).
Come si è accennato, nelle sei placchette rettangolari minori, tra le mensole che sostengono il tempietto, ha luogo – come una parentesi – la vicenda del leone cui Girolamo ha tolto una spina dalla zampa, secondo la narrazione della Leggenda aurea che viene qui riproposta con un ordine compiuto. Partendo sul fronte, da sinistra, troviamo infatti il leone addomesticato che porta al pascolo l'asino; quindi il leone che dorme, mentre l'asino viene rapito dai mercanti di cammelli; e poi i monaci che conducono il leone a compiere i servizi dell'asino. Sul verso, da sinistra, incontriamo il leone che insegue i ladri; quindi questi che chiedono perdono a Girolamo e, infine, gli donano dell'olio per il monastero.