Descrizione
La statua del Carnefice, a grandezza più che naturale, occupa la posizione di destra nel gruppo della Decollazione di San Giovanni Battista, all'esterno dell'edicola che inquadra la figura centrale del Santo. La figura del giovane carnefice è rappresentata in atto di avanzare minacciosa per abbattere la lama sul Battista: poggia saldamente con la gamba destra sul piedistallo ovale, mentre la sinistra, arretrata, fuoriesce per andare a posarsi su una voluta che sporge dal piedistallo stesso. Il corpo si articola secondo una torsione potente, che fa volgere il torace del carnefice verso la parete del Battistero, sulla quale va quasi a poggiare il braccio sinistro piegato e sollevato, mentre il destro, proteso in alto, impugna la spada. La visione di profilo del volto giovanile è coronata dalla capigliatura a riccioli, che si incurvano e sfuggono all'indietro in onde dinamiche.
Sul cartiglio anteriore al piedistallo, un bassorilievo presenta due donne che sollevano vassoi e vasi, dando da mangiare da un vassoio a un asino accovacciato in mezzo a loro. Tradizionalmente la scena è ritenuta un'allegoria dell'Intemperanza, anche se mancano riferimenti testuali per interpretarla come tale.
Notizie storico critiche
Il gruppo conclude il programma cinquecentesco di rinnovamento delle decorazioni scultoree sopra i tre accessi al Battistero, a sostituzione delle sculture trecentesche in marmo di Tino di Camaino. Vincenzo Danti aveva avuto l'incarico, nel 1569, di portare a compimento il primo dei tre gruppi, ovvero il Battesimo di Cristo, in marmo, commissionato nel 1502 ad Andrea Sansovino, e da questi lasciato incompiuto. Verosimilmente questo incarico, assolto su commissione dell'Arte di Calimala, gli procurò l'incarico per la Decollazione di San Giovanni Battista, destinata all'accesso meridionale. La lavorazione delle tre sculture, in bronzo, avvenne in tempi molto rapidi, dato che la commissione risale agli inizi del 1570, o a poco prima, e già nel dicembre dello stesso anno Vincenzo Danti scriveva a Giorgio Vasari che la terza e ultima statua era stata fusa con successo (Frey, pp. 548-549).
Come era consuetudine, il gruppo scultoreo fu collocato in prossimità della festa del Santo Patrono, il 22 giugno 1571. Raffaello Borghini (1584, pp. 520-5219) scrive con ammirazione della felice riuscita delle statue, segnalando che "vennero tanto bene, tanto sottili e tanto pulite che non bisognò rinettarle". Sembrerebbe quasi un'iperbole, non rara nella letteratura encomiastica del tempo, se non che il recente restauro ha confermato quanto scritto dal Borghini, presentando i bronzi scarsissime tracce di una lavorazione a freddo, che comportò anche l'applicazione della foglia d'oro sugli orli delle vesti e sulla sofisticata acconciatura della Salomè.
In questa impresa del Danti, che era artista legato alla corte di Cosimo I de'Medici, ebbe un ruolo anche il Granduca, o comunque lo rivendicò, come attesta l'iscrizione sul piedistallo del Battista. In ogni caso la commissione e l'onere finanziario dell'opera spettò all'Arte di Calimala.
Nel 2006 il gruppo è stato rimosso dal Battistero per ragioni conservative e affidato al restauro dell'Opificio delle Pietre Dure, che lo ha concluso nel 2008.
Relazione iconografico religiosa
L'iconografia religiosa che ispira gli arredi artistici del Battistero è fondata in buona parte sui fatti della vita del Santo titolare del Tempio, tratti dalla narrazione evangelica. Non sappiamo quali fossero gli episodi presenti in opere perdute, quali il Tabernacolo dipinto da Lippo di Benivieni per l'altare maggiore del 1313, o il pergamo marmoreo con Storie del Battista, di autore ignoto, concluso nel 1338. Restano tuttavia in Battistero due importanti cicli iconografici: quello duecentesco dei mosaici della Cupola e quello della porta bronzea di Andrea Pisano, collocata nel 1336. In entrambi è presente la scena della Decollazione, ed era anche il soggetto del gruppo marmoreo di Tino di Camaino, sostituito da quello del Danti. Anche quello si componeva di tre figure, ma non sappiamo se il terzo personaggio, oltre al carnefice e al Battista, fosse la Salomè. La sua presenza non è di rigore nella scena: compare infatti nel mosaico, mentre è assente nel rilievo di Andrea Pisano. La figra di Salomè, che assiste all'evento, per il Danti rappresentò verosimilmente anche l'occasione per corredare la scena di una seducente immagine femminile,mentre agli scopi didattici, che si prefiggeva l'iconografia medievale, la presenza di Salomè meglio spiegava che la purezza del Precursore era stata vittima della lussuria di Erode e dell'astuzia femminile di Erodiade, che di Salomè si era servita per eliminare il suo nemico.