Descrizione
Nella parte superiore della vetrata (la prima da destra, in basso nella tribuna di S. Antonio Abate), con arco a sesto acuto, è raffigurato S. Barnaba, assiso in trono sotto un baldacchino esagonale di forme tardo gotiche; il santo, con un libro nella mano sinistra ed un ramo di ulivo nella destra, indossa un ampio manto rosso (decorato da fiori verdi e gialli a sei petali) sopra una veste verde. Intorno come una bordura policroma in cui si alternano diversi motivi vegeto-floreali. Nella zona sottostante sono rappresentati frontalmente ed a figura intera S. Miniato e S. Reparata; il primo vestito di una dalmatica bianca foderata di verde ed operata con un motivo a melograne gialle sopra una veste rossa, ha la palma nella mano sinistra e lo scettro gigliato nella destra; la santa indossa un ricco manto blu decorato da ampi fiori pinnati gialli, rossi e verdi e tiene un libro ed una lunga asta sopra la quale sventola uno stendardo bianco con croce rossa. I due santi, che portano entrambi una corona, sono collocati in un interno chiuso sul fondo da una bifora con archi a sesto acuto. La bordura che delimita questa zona della vetrata è formata da una serie di foglie e piccoli fiori avvolti a spirale attorno ed un esile tronco. La grisaglia, dove compare, è data con sfumature. Il motivo a melograne nella dalmatica di San Miniato è dipinto con giallo d' argento.
Notizie storico critiche
La vetrata fu commissionata a Bernardo di Francesco il 31 ottobre 1441; nel documento di allogagione si precisava che Bernardo avrebbe dovuto fare tutte le finestre delle cappelle situate nella tribuna di S. Antonio eccetto quella della cappella centrale intitolata allo stesso santo, affidata ed eseguita infatti da Guido di Niccolò e compagni nel 1442-43. Lorenzo Ghiberti fornì il disegno, per il quale fu pagato con lire sedici in data 31 luglio 1442. L’opera in esame, al pari di quasi tutte le altre vetrate delle tribune, è stata oggetto di scarsa attenzione da parte della critica (almeno fino alla mostra ghibertiana del 1978) che, in genere, si è limitata ad un breve giudizio complessivo su di esse. Fu il Poggi, nel 1909, il primo studioso ad occuparsi separatamente di tutte le vetrate della cattedrale fiorentina con la pubblicazione dei documenti ad esse relativi da lui ordinati e riassunti poi in breve commenti su di ogni singola opera. Un’analisi più approfondita che tenesse conto dei dati stilistici e tecnici, come pure delle personalità dei diversi maestri vetrai, fu tentata nel 1938 dalla Van Straelen, il cui giudizio critico fu però in parte falsato dal cattivo stato di conservazione in cui si trovavano le opere; in particolare, nella vetrata di S. Barnaba la studiosa crede di riconoscere il modello del Ghiberti nei volti dei tre santi arrivando ad ipotizzare un intervento diretto dell’artista in fase esecutiva, mentre è attualmente possibile notare il rifacimento ottocentesco almeno nei volti di S. Miniato e S. Reparata. La vetrata è ricordata espressamente anche dal Planiscig e dal Marchini che, accennando alla figura di S.Barnaba, ne mette in rilievo il senso di maestà derivato soprattutto da manifestazioni esteriori, quali la posa monumentale e lo sfarzo decorativo delle vesti. L’opera inoltre, in occasione della mostra ghibertiana del 1978 è stata studiata accuratamente da E. Neri anche in rapporto all’opera complessiva del Ghiberti e dei contemporanei a lui stilisticamente vicini. Relativamente all’iconografia, va notata la presenza del ramo d’olivo nel S. Barnaba, attributo caratteristico delle rappresentazioni toscane del Santo e simbolo delle vittorie riportate dai fiorentini sui senesi e sugli aretini nel corso del XIII secolo.
Relazione iconografico religiosa
Le 15 finestre inferiori (una per cappella) delle tribune sono suddivise in tre campi: in alto sta il santo titolare della cappella, e in basso sono raffigurati santi o personaggi collegati al santo principale da appropriati legami, secondo la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.
Nella presente vetrata è raffigurato San Barnaba in alto e San Miniato e Santa Reparata in basso.
«Un uomo di nome Giuseppe, che fu chiamato dagli Apostoli Barnaba (che si interpreta “Figlio della esortazione”), levita, nativo di Cipro, vendette il campo che possedeva e portò il ricavato ai piedi degli Apostoli». Così, secondo il racconto degli Atti, Giuseppe-Barnaba cipriota divenne apostolo, l’unico insieme con Paolo ad avere ottenuto questo titolo pur non essendo dei Dodici. Fu lui ad accogliere e a presentare agli apostoli Saulo divenuto Paolo e fu con Paolo nel primo viaggio missionario a Cipro e in Panfilia. Molto ascoltato dagli apostoli, sostenne il non obbligo della circonsione e di altri rituali ebraici per i pagani convertiti. Morì martire, forse a Salamina, lapidato dagli ebrei.
Miniato fu un principe armeno, arruolatosi nell’esercito romano, e sottoposto a tortura e infine martirizzato per la sua fede cristiana: fu decapitato a Firenze nel 250, per ordine dell’imperatore Decio. La leggenda vuole che Miniato, raccolta la sua testa recisa, la portasse al di là dell’Arno, sul colle ove poi fu eretta la chiesa fiorentina a lui dedicata. L’effige del santo è particolarmente diffusa nella pittura medievale fiorentina: suoi attributi sono la corona che porta in testa, la spada che lo decapitò e la palma del martirio.
Reparata fu vergine martire di Cesarea, morta, secondo la tradizione, durante la persecuzione voluta dall’imperatore romano Decio, nel III secolo. Il Duomo di Firenze rimase dedicato a lei fino al 1298. Figura in alcuni dipinti fiorentini antichi il cui soggetto è la Madonna col Bambino e santi, ove regge la palma del suo martirio e un libro. Può reggere anche il vessillo della Resurrezione. Suo particolare attributo è la colomba che le esce dalla bocca o le sorvola il capo, in base alla leggenda secondo cui quando morì si vide volar via il suo spirito in forma di colomba.