Descrizione
Vetrata circolare composta da venticinque pannelli. Il centro della scena è occupato dalla figura del bambino che giace nudo e semidisteso, sopra una mangiatoia; a sinistra è raffigurata la Vergine, di profilo ed inginocchiata verso il figlio con mani giunte (indossa una veste viola, un velo bianco ed un mantello azzurro foderato di rosso, con decoro a grandi fiori polilobati gialli, bianchi e rossi); dietro di lei si intravedono due pastori in adorazione (il primo a sinistra porta un ampio mantello rosso con cappuccio e l' altro, appena visibile, una veste verde). Seduto a destra compare S. Giuseppe, con un bastone in mano e la testa avvolta da un turbante azzurro, posata sull' altra; indossa un semplice mantello rosso foderato di azzurro sopra la veste viola. Dietro al Bambino sono affiancati il bue e l' asinello (realizzati rispettivamente in giallo e marrone) e sullo sfondo la tettoia della capanna (gialla e bianca) interrotta al centro da una stella. Nella zona inferiore del tondo e sulla destra, dietro a S. Giuseppe, vi sono accenni di vegetazione, mentre nella parte superiore le figure sono poste contro l'azzurro del cielo. La bordura, dal fondo rosso, è decorata da una serie di medaglioni con all'interno grandi fiori azzurri e bianchi e gialli.
Notizie storico critiche
A partire dagli anni ‘30 del 1400, si avverte la necessità di dare adeguata sistemazione agli occhi del tamburo, ovvero alle otto grandi finestre circolari, che fin dal maggio 1413 erano finite di «serrare» in pietra forte. I lavori per le otto vetrate ebbero inizio nel 1433 e si conclusero nel 1445, proprio mentre il Ghiberti lavorava alla Porta d’Oro del battistero, inducendo l’Opera ad affidargli solo parte dell’impresa, distribuendo gli incarichi restanti anche ad altri artisti presenti al servizio della cattedrale: Donatello, Paolo Uccello, Andrea del Castagno.
Il 5 novembre 1443 Paolo Uccello viene pagato per il disegno della Natività eseguita da Angelo Lippi. Questi, nell’aprile e nel giugno del 1444, riceve vari compensi probabilmente per la vetrata in questione, la quale risulta terminata e montata il 25 febbraio 1445. Numerosi e spesso contrastanti gli interventi critici relativi all’opera in esame. Brevi osservazioni di tipo descrittive nel Semper e semplici citazioni nel Cavalcaselle. Importante il contributo del Poggi che nel 1909 curò la pubblicazione completa del materiale documentario relativo a tutte le vetrate del Duomo, da lui ordinato e riassunto poi in brevi documenti su ogni singola opera. Il Paatz l’avvicina alla Natività di Lorenzo Monaco e vi nota un evidente arcaismo. Per il Pudelko il campo che l’artista aveva a disposizione sembra quasi insufficiente allo svolgersi della scena, resa con tecnica scadente dal maestro vetraio. Abbastanza critico il giudizio del Salmi che ritiene questa vetrata (inferiore alla Resurrezione) il risultato di un compromesso tra due epoche diverse: i ricordi del gotico fiorentino si uniscono alle ricerche prospettiche rinascimentali ancora frammentarie ed insolute. Anche per la Van Straelen la Natività appare meno felice della Resurrezione, pur mostrando una sapienza compositiva studiata per la veduta a grande distanza; la studiosa riconosce in alcuni particolari (ad esempio la parte inferiore dell’abito di S. Giuseppe che si confonde col suolo) la mano di Bernardo di Francesco, che lei suppone sia intervenuto in fase di restauro (si ricordi che il maestro vetraio fu a lungo stipendiato dall’Opera come restauratore delle vetrate del Duomo). Il Boek ritiene la Madonna vicina al tipo delle prime opere di Paolo ed istituisce un preciso rapporto con la Natività di Karksruhe; egli, a differenza della Van Straelen, definisce convenzionali i colori e mediocre la tecnica vetraria. Secondo la Pittaluga, nel disegnare i cartoni per le tre vetrate del tamburo, Paolo Uccello “smarrisce ogni effettiva coerenza”; negativo, come quello del Salmi, il giudizio sulla Natività “dove caratteri di linearismo gotico si affiancano a caratteri volumetrico-rinascimentali, in un frazionamento di visione che la particolare natura dell’oggetto rende ancora più evidente”. L’occhio della Natività appare inferiore a quello della Resurrezione anche per il Pope Hennessey. La Micheletti, nella scheda compilata per il Catalogo della Mostra di quattro maestri del primo Rinascimento (1954), ne riassume le notizie storiche e bibliografiche, notando il recente restauro nel volto della Madonna e nella barba di San Giuseppe. Marchini mette in rilievo il carattere più descrittivo della Natività dove Paolo “allinea gli elementi figurativi in visione frontale e rialzata per goderne i valori come giustapposizione di zone cromatiche distese, ma sempre fuori da riferimenti alla realtà oggettiva”. Positivo il giudizio del Parronchi sull’impianto compositivo sapientemente bilanciato in superficie. In occasione della mostra ghibertiana del 1978, la vetrata è stata oggetto di uno studio accurato da parte di M. Bacci che ne delinea la storia e la fortuna critica; la studiosa nota l’affinità stilistica (oltre che con la Natività di Karlsruhe) con gli affreschi della cappella dell’Assunta del Duomo di Prato, ponendo l’accento sulla “singolare commistione di elementi lineari tradizionali e di nuove ricerche di spazi e di volumi quali si avvertono già nel lunettone con la creazione di Adamo nel Chiostro Verde di S.Maria Novella.
Relazione iconografico religiosa
Il programma iconografico degli occhi del tamburo è rappresentato dalla vicenda cristologica, narrato, secondo l'ordine suggerito dalle immagini, dall'Annunciazione, dalla Natività, dalla Presentazione di Gesù al tempio, dall'Orazione nell'orto, dal Compianto sul Cristo morto, dalla Resurrezione, dall'Ascensione, dall'Incoronazione di Maria.
La scena raccontata nella presente vetrata raffigura la nascita di Gesù. L'episodio della nascita di Cristo è descritto nei Vangeli di Matteo (1, 18-24) e Luca (2, 1-7), ma gli spunti per la sua figurazione nell'arte derivano in gran parte dai Vangeli Apocrifi. Il vangelo di Luca descrive l'episodio in termini alquanto sintetici. In base al decreto di Augusto, Giuseppe e Maria si trasferiscono da Nazareth a Betlemme, al fine di farsi registrare negli elenchi del censimento generale dell'Impero Romano. Arrivati a Nazareth, Maria entra in travaglio, ma non si trova assolutamente un alloggio, e la partoriente deve adattarsi a un riparo di fortuna che Luca non specifica ma, parlando in termini espliciti di una mangiatoia in cui viene deposto il Bambino neonato, lascia intendere che possa trattarsi di una stalla o di una tettoia per animali. Nell'apocrifo dello pseudo-Matteo, invece, si parla in modo molto esplicito di una grotta, e si aggiungono alla scena l'asino e il bue, entrati poi stabilmente nell'immagine popolare, devozionale e iconografica del presepe.