Descrizione
Al centro della scena è raffigurata la Vergine in veste viola e manto azzurro, seduta ai piedi della croce mentre tiene disteso sulle sue ginocchia il corpo nudo ed esanime del Cristo; ai lati sono inginocchiate le pie donne e la Maddalena in pose dolenti e raccolte (i colori delle loro vesti sono il rosso, il verde, il viola e l'azzurro). In piedi ai fianchi della croce compaiono Giovanni ed un altro personaggio (Nicodemo o Giuseppe d' Arimatea (?); il primo con manto rosso e viola sulla veste verde, ha il volto sollevato, mentre l'altro (in manto bianco e rosso) sorregge con le mani un braccio del Cristo, verso cui piega il volto dolente. Lo sfondo azzurro del cielo è reso con lastre disposte a fasce concentriche e dei piccoli cespugli sono sparsi sul bianco del terreno. L' ampia bordura è decorata da una ghirlanda di foglie e fiori a cinque petali (bianchi e azzurri su fondo rosso) interrotta da alcuni medaglioni con all'interno stelle, teste di cherubini ed altri fiori. La grisaglia è data con sfumature.
Notizie storico critiche
A partire dagli anni ‘30 del 1400, si avverte la necessità di dare adeguata sistemazione agli occhi del tamburo, ovvero alle otto grandi finestre circolari, che fin dal maggio 1413 erano finite di «serrare» in pietra forte. I lavori per le otto vetrate ebbero inizio nel 1433 e si conclusero nel 1445, proprio mentre il Ghiberti lavorava alla Porta d’Oro del battistero, inducendo l’Opera ad affidargli solo parte dell’impresa, distribuendo gli incarichi restanti anche ad altri artisti presenti al servizio della cattedrale: Donatello, Paolo Uccello, Andrea del Castagno.
Il disegno della Deposizione fu pagato ad Andrea del Castagno il 26 febbraio 1444; manca qualsiasi documentazione relativa al maestro vetraio esecutore e possiamo solo dedurre che la vetrata fosse compiuta nel termine di un anno, poiché il 25 febbraio 1445 risulta posta in loco l’ultimo occhio del tamburo, la Presentazione al Tempio. Numerosi gli interventi relativi all’opera in esame a cominciare dal Milanesi che furono tra i primi ad attribuirla ad Andrea del Castagno. Importante il contributo del Poggi che, nel 1909, curò la pubblicazione completa del materiale documentario riguardante tutte le vetrate del Duomo, da lui ordinato e riassunto in brevi commenti esplicativi su ogni opera; egli ipotizza che il Compianto sia stato eseguito da Angiolo Lippi, al quale si deve anche la Natività di Paolo Uccello. Per il Toesca la Deposizione (al pari della Resurrezione di Paolo Uccello) mostra, rispetto alle altre vetrate della cupola, un più abile andamento tra “intento pittorico e tecnica vetraria”. Un’analisi più approfondita che tenesse conto dei dati stilistici e tecnici, come pure della personalità del maestro vetraio, fu tentata nel 1938 dalla Van Straelen che avvicina questa vetrata a quella della Resurrezione, ritenendole entrambe probabili opera di Lorenzo d’Antonio, collaboratore di Guido di Niccolò in alcune vetrate delle tribune; la studiosa nota nelle due vetrate una distribuzione più netta delle zone cromatiche ed un contorno più deciso rispetto a quelle lavorate da Bernardo di Francesco, dove i colori tendono a fondersi ed a sovrapporsi; ipotizza inoltre un intervento pittorico di Andrea nelle figure della Madonna e di Giovanni. Berti (come il Poggi) ritiene probabile che l’esecutore sia stato Angiolo di Lippo. Marchini osserva la costruzione piramidale della scena, con figure disposte a semicerchio che trovano “suggerimento più che sufficiente nel disegno per ottenere forza di forma al di fuori del chiaro scuro (che fu forse invece l’errore di Donatello)”; la visione aderisce quindi perfettamente al linguaggio del mezzo e “conserva tutta la forza espressiva di tono drammatico propria dell’artista”, che usa colori violenti e pieni per distinguere chiaramente le masse. Per il Fortuna il maestro vetraio esecutore è forse Bernardo di Francesco che ricevette vari stanziamenti dall’Opera nello stesso periodo in cui fu pagato il disegno di Andrea. In occasione della mostra ghibertiana del 1978 la vetrata è stata oggetto di uno studio accurato da parte di M. Bacci che ne delinea la storia e la fortuna critica notando come la maggior parte degli studiosi concordi nel lodare questa composizione per la sua chiarezza ed il suo equilibrio; secondo lei la scelta di colori “chiassosa ed inarticolata” non rispecchia, però, il cromatismo di Andrea che, in genere, usa pochi toni dominanti o varianti di un unico colore.
Relazione iconografico religiosa
Il programma iconografico degli occhi del tamburo è rappresentato dalla vicenda cristologica, narrato, secondo l'ordine suggerito dalle immagini, dall'Annunciazione, dalla Natività, dalla Presentazione di Gesù al tempio, dall'Orazione nell'orto, dal Compianto sul Cristo morto, dalla Resurrezione, dall'Ascensione, dall'Incoronazione di Maria.
La scena raccontata nella presente vetrata raffigura il compianto sul Cristo morto.
Deposto dalla croce, ancora sanguinante, il corpo di Cristo viene disteso sul lenzuolo portato da Giuseppe d’Arimatea. Sul Calvario, ai piedi della croce vuota, sono rimasti solo i parenti e i più intimi amici di Gesù. La straziante scena della disperazione intorno al corpo esanime di Gesù non viene diffusamente narrata nei Vangeli. Si tratta, come nel caso della Pietà, di un’interpretazione del tutto umana e sentimentale. Intorno al corpo di Cristo, nella versione più rigorosa del tema, si radunano sette personaggi. I tre uomini sono l’Evangelista Giovanni, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Le donne sono la Madonna, la Maddalena e le due sorelle della Vergine, entrambe di nome Maria, figlie di Sant’Anna ma di padri diversi (Cleofa e Salome). Nelle opere d’arte il numero delle donne può variare, poiché spesso le donne sono in tutto tre, mentre in altri casi sono addirittura più numerose.