Descrizione
La composizione scenica della vetrata è occupata interamente dalle due grandi figure della Vergine e del Cristo, entrambe sedute di tre quarti sopra un trono di cui sono visibili pochi tratti rigorosamente prospettici. A sinistra la Vergine, completamente ricoperta dal manto bianco che solo in piccole zone ha conservato il suo chiaroscuro: tiene le mani giunte e la testa abbassata verso il figlio che sta per incoronarla; egli indossa un ampio mantello rosso sopra la veste verde di cui si intravede solo una manica ed il suo volto, al pari di quello della madre, ha perduto ogni accenno al modellato. Sotto il basamento del trono vi è un pavimento marmorizzato ed in alto, attorno alle due figure, l'azzurro del cielo. L' ampia bordura è decorata da sei cherubini azzurri e rossi disposti in prospettiva entro formelle marmoree, a simulare un'imbotte con veduta centrale.
Notizie storico critiche
A partire dagli anni ‘30 del 1400, si avverte la necessità di dare adeguata sistemazione agli occhi del tamburo, ovvero alle otto grandi finestre circolari, che fin dal maggio 1413 erano finite di «serrare» in pietra forte. I lavori per le otto vetrate ebbero inizio nel 1433 e si conclusero nel 1445, proprio mentre il Ghiberti lavorava alla Porta d’Oro del battistero, inducendo l’Opera ad affidargli solo parte dell’impresa, distribuendo gli incarichi restanti anche ad altri artisti presenti al servizio della cattedrale: Donatello, Paolo Uccello, Andrea del Castagno.
Il tondo con l’incoronazione della Vergine fu il primo ad essere commissionato. Gli operai deliberano di allogarlo il 19 maggio 1433 e nell’agosto ed ottobre successivi si cercò addirittura di ottenere la liberazione del maestro vetraio Angelo di Francesco, imprigionato, per ovviare alla carenza di tali artigiani nella città di Firenze. Nel novembre si comprò appositamente del vetro a Venezia. In un primo momento si affidò il disegno a Lorenzo Ghiberti: il 30 dicembre 1433 l’Opera incaricò un’apposita commissione di scegliere uno dei due cartoni presentati dall’artista per poi farlo eseguire da Bernardo di Francesco. Il lavoro del Ghiberti, probabilmente, non soddisfece , poiché venne interpellato anche Donatello il quale ricevette la commissione nell’aprile del 1439 (“melius honorabilius et magnificentius”). L’esecuzione materiale venne poi affidata a Domenico di Piero da Pisa ed Angelo Lippi il 20 aprile dello stesso anno. Nel dicembre l’occhio risulta in lavorazione e doveva essere compiuto il 27 giugno 1437, quando si ricorda un pagamento parziale ai due vetrai; risulta sicuramente finito e posto in loco il 19 dicembre 1437, come è specificato nel documento relativo al saldo dei maestri vetrai esecutori. Numerosi gli interventi critici relativi all’opera in esame a cominciare dal Vasari che la riferisce esattamente al suo autore, Donatello, affermando che l’occhio dell’Incoronazione ha “maggior forza in se che gli altri da diversi maestri disegnati” ed in seguito che “il disegno è tanto migliore di quelli che sono negli altri occhi, quanto manifestamente si vede”. Il Semper è l’unico autore ottocentesco che dedichi una certa attenzione alla vetrata sottolineandone la fermezza e la semplicità del disegno e l’intensità e sobrietà espressiva. Nel 1900 l’Incoronazione fu osservata ed accuratamente descritta dal Marquand che parla di grande semplicità compositiva ed attribuisce erroneamente l’esecuzione a Bernardo di Francesco. Importante il contributo del Poggi, cui si deve la pubblicazione del materiale documentario relativo a tutte le vetrate del Duomo (ordinato e riassunto in brevi commenti su ogni singola opera), permettendo quindi di ricostruire con precisione la complessa storia di questo occhio. Per il Toesca l’Incoronazione è forse, tra le vetrate della cupola, una delle meno belle per la monotonia di vesti bianche che guasta l’insieme coloristico, per incertezza plastica, sebbene vi si intravede il turbine di linee che nel disegno del maestro doveva avvolgere le due grandi figure. La Van Straelen afferma che rimangono poche lastre originali (non precisa, però, di quale si tratti) e suppone che il disegno del Ghiberti rifiutato dall’Opera possa essere servito da modello per la vetrata della Pieve di Arezzo attribuito dal Vasari all’artista ed attualmente perduta. Marchini ritiene probabile che Donatello sia intervenuto direttamente alla fase pittorica “tanto quei pochi tratti conservati dal modello appaiono potenti nel colarsi dentro gli scultorei contorni d’una semplicità raramente grandiosa”, osserva poi la resa rigorosamente prospettica dei sedili e la bordura che non è più semplice decorazione lineare, ma simula un’imbotte in veduta centrale; sottolinea la tecnica scadente e l’uso eccessivo della grisaglia nel chiaroscurare le due masse compatte di colore, mancanti altrimenti di modellato (da notare anche le striature curve nel manto di Cristo, in lastre ottenuta lavorando il vetro col metodo del disco); ma forse “la qualità sintetica di Donatello” non piacque se si considera che la maggior parte del lavoro a venire fu poi affidato al Ghiberti. Il Jonson avanza l’ipotesi che al disegno dell’Incoronazione abbiano partecipato anche il Ghiberti ed i maestri vetrai esecutori; nota un rapporto tra gli angeli della bordatura e le teste in stucco nei triangoli ai lati delle lunette sopra le porte della sacrestia vecchia di S. Lorenzo, da lui datate proprio al 1434-35. In occasione della mostra ghibertiana del 1971 l’opera è stata oggetto di uno studio accurato da parte di Mina Bacci che ne delinea la storia e la fortuna critica, osservando, come nell’Incoronazione, concepita come una scultura, la vetrata “non è più il filtro della luce tenue che viene in tal modo ad essere frantumata, attutita, trasfigurata, ma è elemento anch’esso portatore dei nuovi valori di spazio e di forma che perfettamente si accorda col novus ordo della cupola brunelleschiana”.
Relazione iconografico religiosa
Il programma iconografico degli occhi del tamburo è rappresentato dalla vicenda cristologica, narrato, secondo l'ordine suggerito dalle immagini, dall'Annunciazione, dalla Natività, dalla Presentazione di Gesù al tempio, dall'Orazione nell'orto, dal Compianto sul Cristo morto, dalla Resurrezione, dall'Ascensione, dall'Incoronazione di Maria.
La scena raccontata nella presente vetrata raffigura l’incoronazione di Maria.
Il testo del Transitus Mariae termina con l’immagine di Maria assunta in cielo, mentre gli Apostoli lodano Gesù Cristo “che vive e regna col Padre e lo Spirito Santo in perfetta unità e in una stessa sostanza di divinità nei secoli dei secoli”. Questa preghiera può essere applicata anche a Maria, che, secondo l’interpretazione di San Gerolamo, con l’Assunzione viene subito portata “fino al trono di Dio”. Per questo talvolta la scena viene raffigurata come immediato seguito dell’Assunzione. L’incoronazione della Vergine è una solenne cerimonia celeste, e di solito viene congiuntamente officiata dal Padre e dal Figlio, che sorreggono insieme la corona collocata sulla testa di Maria, alla presenza dello Spirito Santo. Meno frequenti sono le immagini in cui solo Gesù o solo Dio Padre incoronano la Madonna. Ancora più rare, ma molto suggestive, sono le immagini che raffigurano l’avvenuta incoronazione, con Maria seduta di fianco a Cristo sullo stesso trono.