Descrizione
Nella parte superiore della vetrata (la terza da destra, in basso, nella tribuna di S. Antonio abate), è raffigurato S. Antonio abate, seduto in trono sotto un baldacchino esagonale di forme tardo-gotiche; il Santo, in posizione frontale, con il bastone nella mano sinistra ed un libro poggiato sul ginocchio destro, indossa una veste vinaccia con sopra un ampio mantello verde; sul retro è teso un drappo rosso operato a motivi floreali. Nella parte inferiore sono rappresentati frontalmente ed a figura intera due santi vescovi, con il volto di tre quarti rivolto verso il centro; il personaggio di sinistra, che tiene con una mano il pastorale ed ha l'altra sollevata in atto benedicente, indossa un piviale verde sopra la cotta bianca; il santo che lo affianca reca invece nella sinistra una lunga asta con uno stendardo figurante un'aquila ed ha un libro nella destra; indossa una pianeta rossa sopra la veste azzurra e bianca. I due santi vescovi sono collocati in un interno chiuso sul fondo da una bifora con archi a sesto acuto internamente trilobati. Nella bordura che circonda l' intera composizione si alternano diversi motivi vegeto-floreali, mentre nella banda che divide orizzontalmente i due registri è presente un semplice decoro a festoni. La grisaglia, dove compare, è data con sfumature; è usato il rosso placcato nel drappo teso dietro S. Antonio e nella pianeta del vescovo di destra.
Notizie storico critiche
La vetrata fu commissionata il 31 gennaio 1442 a Guido di Niccolò ed ai compagni Lorenzo di Antonio, Carlo di Francesco Zati e Giovanni d’Andrea (Poggi, 1909, doc.659); nello stesso documento di allogagione gli operai affidavano ai suddetti maestri vetrai altre quattro finestre (per le cappelle di S. Mattia, S. Giacomo Maggiore, S. Stefano e S. Andrea) delle quali soltanto due furono da loro effettivamente eseguite (ovvero le vetrate nella cappella di S. Andrea e di S. Stefano). Lorenzo Ghiberti fornì il disegno e in data 12 maggio 1442 venne pagato con trentadue lire per due disegni, uno per la vetrata in questione e l’altro per quella della cappella di S. Giovanni Evangelista. L’11 ottobre 1443 si saldavano i maestri vetrai per la finestra da loro già eseguita. L’opera in esame, al pari di quasi tutte le altre vetrate delle tribune è stata oggetto di scarsa attenzione da parte della critica che, in genere, si è limitata ad un breve giudizio complessivo su di esse. È ricordato dallo Westlake che si sofferma nella descrizione dei colori, lodando la buona qualità di essi e del disegno, e identificando erroneamente il santo in trono con il profeta Elia. Fu il Poggi, nel 1909, il primo studioso ad occuparsi separatamente di tutte le vetrate della cattedrale fiorentina, con la pubblicazione dei documenti ad esse relativi da lui ordinati e poi riassunti in brevi commenti su ogni singola opera. Un’analisi più approfondita che tenesse conto dei dati stilistici e tecnici, come pure delle personalità dei diversi maestri vetrai, fu tentata nel 1938 dalla Van Straelen che, riguardo alla presente vetrata, osserva come i restauri ne abbiano alterato il carattere originario, pur essendo ancora chiaramente riconoscibile l’idea ghibertiana; la studiosa nota inoltre come la figura di S. Antonio Abate sia messa in risalto dal drappo rosso che la isola dal bordo ornamentale, a differenza ad esempio del S. Tommaso della finestra eseguita da Bernardo di Francesco sempre su disegno del Ghiberti.
Relazione iconografico religiosa
Le 15 finestre inferiori (una per cappella) delle tribune sono suddivise in tre campi: in alto sta il santo titolare della cappella, e in basso sono raffigurati santi o personaggi collegati al santo principale da appropriati legami, secondo la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.
Nella presente vetrata è raffigurato Sant’Antonio abate in alto e probabilmente San Biagio e un Santo vescovo in basso.
Antonio abate (251?-356) fu un santo eremita originario dell’alto Egitto. Alla morte dei genitori distribuì le proprie ricchezze ai poveri e si ritirò nel deserto dove visse in solitudine per molti anni. È considerato l’iniziatore del monachesimo. Gli si attribuirono molte guarigioni durante un’epidemia della malattia che prese appunto il nome di fuoco di Sant’Antonio. È raffigurato come un monaco anziano con barba bianca, vestito della tonaca da frate col cappuccio (nella sua funzione di padre del monachesimo). Regge un bastone a forma di stampella, con il manico a T. Una T (tau) turchina o bianca compare anche sulla sua tonaca, all’altezza della spalla. L’origine dell’attribuzione di questo simbolo a sant’Antonio è incerta. Forse si tratta semplicemente di una stampella, emblema tradizionale del monaco medievale il cui dovere era di aiutare gli zoppi e gli infermi. Ma va anche considerato che la croce a forma di tau (o croce egizia) era un simbolo di immortalità nell’antico Egitto e fu adottata come emblema dai cristiani alessandrini. Sant’Antonio regge il campanello ed è accompagnato dal maiale, animale allevato dai monaci antoniani durante il Medioevo; si diceva che il lardo fosse stato usato come antidoto contro il fuoco di Sant’Antonio. A volte il campanello è appeso al collo del maiale. Nel secolo XVII, i maiali appartenenti agli Ospedalieri di Sant’Antonio godevano di speciali diritti di pascolo ed erano appunto contraddistinti dal campanello. Secondo alcuni, il campanello, comunemente usato per cacciare gli spiriti maligni, allude alle tentazioni di San’Antonio.
Biagio, martire cristiano, fu vescovo di Sebaste, in Asia Minore, e ivi morì, forse durante le persecuzioni dell’imperatore Licinio all’inizio del IV secolo. È ricordato soprattutto per episodi leggendari, alcuni dei quali compaiono sporadicamente nella pittura del primo Rinascimento, relativi alla sua mitezza. Prima di giustiziarlo i suoi persecutori gli lacerarono la pelle con pettini di ferro; può essere raffigurato mentre è sottoposto alla tortura legato a una colonna, oppure appeso alla forca. Come figura devozionale porta gli abiti vescovili e la mitra, e regge un pettine per lo più piatto e quadrato con i denti corti e dotato di un manico, simile a quello usato per la cardatura della lana. È il santo protettore dei cardatori. È anche invocato contro i malanni di gola poiché salvò miracolosamente un fanciullo che aveva ingoiato una spina di pesce. In alcune zone della Francia e in Italia si usava accostare due ceri benedetti incrociati alla gola delle persone sofferenti chiedendo a San Biagio la grazia della guarigione. A volte i due ceri incrociati compaiono come suo attributo nelle figurazioni artistiche.