Descrizione
La seconda vetrata a sinistra della facciata, con arco a sesto acuto, presenta in alto un Santo Vescovo, San Ludovico di Tolosa, con la mitria ed il pastorale, in veste rosacea e manto azzurro con grandi gigli gialli e San Giovanni evangelista, con in mano un libro aperto e vestito di un mantello rosso foderato di verde sopra la veste azzurra. Al centro compaiono da un lato Sant'Anna (ha la testa avvolta dal velo bianco e coperta dal mantello viola sopra una veste azzurra) che sostiene con le mani una piccola città turrita, ed a fianco un santo abate, in veste bianca e manto verde decorato da fiori a losanga gialli e rossi, che regge un libro ed un pastorale. Nella parte inferiore della vetrata sono rappresentate due sante martiri; la prima, in veste rossa, trattiene con la mano sinistra i lembi del manto verde ornato da grandi fiori gialli a losanghe e bordure bianche ed ha nella destra la palma del martirio. L'altra è Santa Barbara, con lunghi capelli biondi, porta un mantello rosso con grandi fiori bianchi a losanghe sulla veste verde e tiene in mano un ramo di palma ed un modellino di torre in forma di pisside. I sei personaggi, tutti in pose severamente frontali, sono collocati su basamenti poligonali entro alti e complessi tabernacoli con archetti polilobati, timpani decorati da un piccolo rosone e cupolette cuspidate sorretti da colonnine tortili. Le bordure che delimitano e dividono i due gruppi di figure presentano il medesimo decoro e foglie e fiori compositi (bianchi, gialli e azzurri) su fondo rosso e culminano in archi acuti trilobati sopra i quali è posto, alla sommità della vetrata, un rosone con un motivo a stella, bianco su fondo rosso. Al margine esterno vi è una bordura con gigli gialli su fondo azzurro.
Notizie storico critiche
A seguito della modifica del progetto arnolfiano furono accecate le otto finestre già presenti nel corpo basilicale e furono aperte quattro finestre monofore – due per ogni navata laterale – per le quali fornì i disegni Agnolo Gaddi. La finestra fu commissionata dapprima il 15 giugno 1394 a Niccolò di Piero Tedesco, che nei mesi successivi ricevette vari acconti per le vetrate allogategli (il plurale usato in questi documenti fa supporre una prima committenza dello stesso Niccolò anche dell’altra vetrata del fianco sinistro, poi affidata ed eseguita da Leonardo di Simone). Nell’anno successivo il maestro vetraio fu sollecitato più volte, ma certo egli disattese al suo impegno, poiché nel luglio dello stesso anno si parla di un Piero di Niccolò Tedesco, forse il figlio, in riferimento alla presente vetrata. Il 15 ottobre si pagavano altri maestri vetrai per il lavoro di alcune giornate, ma il 29 si fa di nuovo riferimento ad un unico maestro: probabilmente si trattava già di Antonio da Pisa, citato per la prima volta quale esecutore della vetrata in un documento del 23 dicembre 1395 in cui si è specificato che si era portato a compimento l’opera, realizzata su disegno di Agnolo Gaddi, e terminata sicuramente il 30 dello stesso mese quando se ne pagava la misurazione. Lo sguancio della finestra fu dipinto da Mariotto di Nardo. Piccoli interventi di restauro dono documentati fin dagli inizi del 1400; nell’agosto 1406 si deliberava di risarcire le finestre del fianco sinistro ed il lavoro fu affidato a Niccolò di Piero che vi attese fino al 1415. Altri restauri alle “finestre di Chiesa che erano rotte” fecero Francesco di Giovanni e Bernardo di Francesco tra il 1418 ed il 1429 e nel 1442 Angiolo di Lippo si occupò espressamente della vetrata in esame. Le quattro vetrate della navate sono state oggetto di scarsa attenzione da parte della critica che in genere si è limitata ad un breve giudizio complessivo su di esse e solo in questo caso si è occupata più dettagliatamente del problema. H. Semper, nel 1982, pubblicava il documento in cui è nominato Antonio da Pisa riferendolo, però, non a questa vetrata, ma alla seconda del fianco meridionale e fu il Thode il primo a collegare il maestro vetraio attivo in Duomo con l’autore del trattato sulle vetrate artistiche (conservato alla Biblioteca Civica di Assisi) già edito a cura di G. Fratini e ripubblicato poi dal Bruck; anche il Thode attribuì ad Antonio la seconda vetrata del fianco destro, benché osservasse come la data 1394 che egli vi leggeva (senza accorgersi tuttavia della firma di Leonardo di Simone) non concordava col dato documento. Nel 1909 il Poggi pubblicò tutti i documenti relativi alle vetrate del Duomo, ma nel suo pur esatto commento riguardante le finestre delle navi non si cura di notificare le opinioni precedenti né fa alcun accenno alla presenza di iscrizioni. Il problema non venne chiarito dal Crispolti e neppure dalla Von Straelen che tenta tuttavia un’analisi più approfondita dei dati stilistici e delle personalità dei maestri vetrai; la studiosa riprendendo il Poggi, attribuisce giustamente questa vetrata ad Antonio da Pisa, cui, però, secondo lei si dovrebbe assegnare anche la seconda finestra del lato destro (dice infatti che è firmata da Antonio da Pisa e datata 1395) eseguita invece nel ’94 da Leonardo di Simone. Osserva inoltre che il pronunciato carattere decorativo della vetrata danneggia la chiarezza della rappresentazione e si deve probabilmente all’influsso della prima committenza. Abbastanza negativo il breve giudizio del Toesca (che attribuisce ancora ad Antonio la seconda vetrata di destra): i disegni di Agnolo non furono ben tradotti dai maestri vetrai che “sparsero sulle figure fiorami e ornati così vivi di colore e tanto monotoni che tutto ne riesce confuso”. S. Pezzella ha curato, nel 1976, una nuova edizione del trattato di Antonio, osservando tra l’altro come questa vetrata del Duomo rappresenti l’unica opera sicuramente documentata al maestro pisano. Il riepilogo ed il chiarimento dei vari problemi riguardanti l’opera in esame si deve a Marchini, in base ad un’attenta lettura dei documenti e delle iscrizioni ancora esistenti; in particolare, lo studioso in questa vetrata nota un colorito diverso da quello delle altre tre finestre, più brillante e vivace, e con una certa percentuale di vetro bianco (anche se non si arriva ad 1/3) come raccomandato dallo stesso Antonio da Pisa nel suo trattato. Marchini rileva inoltre in tutte le vetrate, l’evidenza del disegno agnolesco “accuratissimo e fine” e la comparsa, per la prima volta in vetrate italiane, degli alti e complessi baldacchini, “già d’uso corrente nelle vetrate nordiche e nella pittura coeva d’affresco nostrano”, ideati certo da Agnolo Gaddi.
Relazione iconografico religiosa
Nel terzo e quarto valico delle navate sono presenti quattro finestre monofore – due per ogni navata laterale. Ogni finestra delle navate è divisa lungo la mezzeria come in due ante, e ciascuna anta in tre settori, per un totale di sei scomparti: all’interno di essi sono raffigurati sei santi, entro tempietti a tabernacolo.
Nella presente vetrata sono raffigurati San Ludovico di Tolosa, San Giovanni evangelista, Sant’Anna, Santo abate, Santa martire, Santa Barbara.
Ludovico da Tolosa (1274-1297), secondogenito di Carlo II, re di Napoli, e pronipote di Luigi IX di Francia, rinunciò al trono di Napoli in favore del fratello Roberto, per entrare nell’ordine francescano. Ancora giovanissimo fu consacrato vescovo di Tolosa, morì a soli ventitré anni e venne canonizzato quello stesso giorno. E’ raffigurato, soprattutto nella pittura italiana prima del XVI secolo, come un vescovo straordinariamente giovane. Porta un piviale ricamato con motivi a giglio, per allusione alla sua consanguineità con i reali di Francia; la corona e lo scettro ai suoi piedi alludono alla sua rinuncia al trono. La figura genuflessa davanti a lui è il fratello Roberto. Compare accanto ai santi Francesco d’Assisi, Bonaventura, Elisabetta d’Ungheria e ad altri francescani nei dipinti devozionali raffiguranti la Vergine e Santi, commissionati dall’Ordine.
Giovanni evangelista, apostolo, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo, presunto autore del quarto vangelo e, secondo la tradizione, dell’Apocalisse. Fu uno dei primi discepoli chiamati da Gesù. È presente, con Pietro e Giacomo, alla trasfigurazione. Nelle figurazioni dell’Ultima Cena appoggia il capo sul petto di Cristo, in base alla tradizione secondo la quale era il discepolo prediletto. Durante la preghiera nell’orto, è raffigurato dormiente insieme a Pietro e Giacomo mentre Gesù, un poco discosto, è assorto in preghiera. Nella versione iconografica della crocifissione egli compare solo con la Vergine ai piedi della croce. È tra le figure presenti alla deposizione dalla croce, al compianto e alla deposizione di Gesù nel sepolcro. Compare altresì nelle raffigurazioni della morte della Vergine e dell’assunzione in quanto gli scritti apocrifi da cui queste scene sono tratte erano attribuiti a lui. Durante il ministero apostolico, Giovanni si accompagnò spesso a San Pietro. Si dice che morì ad Efeso in età molto avanzata. Suoi attributi sono il libro e il cartiglio che alludono ai suoi scritti; l’aquila, che può avere nel becco una penna o un calamaio; il calice, dal quale spunta un serpente; il calderone d’olio bollente e la palma: non però la palma del martirio, bensì quella appartenente alla Vergine che gli fu consegnata alla morte di Lei. È raffigurato secondo due fondamentali tipologie: come apostolo è un giovane aggraziato, a volte quasi femmineo, sbarbato e con lunghi capelli a boccoli; il secondo tipo, nettamente contrastante, è invece quello dell’evangelista: un uomo anziano con barba grigia.
Anna, madre di Maria Vergine, non ha attributi specifici, ma spesso indossa un manto verde sopra una veste rossa. Il verde è il colore della primavera e simboleggia la rinascita, quindi l’immortalità; il rosso, invece, è simbolo dell’amore.
Barbara, santa vergine e martire, secondo la tradizione visse in Asia Minore nel III secolo. La sua leggenda, che non ha basi storiche, risale al VII secolo circa ed è ripresa dalla Legenda Aurea. Il padre di Barbara, un nobile pagano di nome Dioscoro, fece costruire una torre e vi rinchiuse la figlia per scongiurare i suoi pretendenti. La torre aveva soltanto due finestre e Barbara, in assenza del padre, convinse i muratori ad aprirne una terza. Riuscì anche a fare penetrare nella sua prigione un sacerdote, facendolo passare per un medico, e a farsi impartire il battesimo cristiano. Quando Dioscoro tornò, Barbara gli disse che le tre finestre rappresentavano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che illuminavano la sua anima. Il padre si adirò; Barbara fuggì dalla torre inseguita da lui e si nascose nella fenditura di una roccia. Ma un pastore la tradì rivelando il suo nascondiglio; allora il padre la trascinò fuori per i capelli e la percosse, poi la consegnò alle autorità romane, ma ella rifiutò di abiurare e fu perciò torturata. Infine, mentre veniva giustiziata dalla spada del padre, questi fu colpito da un fulmine e il suo cadavere venne consumato dal fuoco. L’attributo iconografico di santa Barbara è la torre, solitamente provvista di tre finestre. A volte regge il calice con l’ostia, riferimento all’ultimo sacramento.