Descrizione
Mostra di orologio dipinta ad affresco: un quadrato con inscritto un cerchio nel quale sono distribuite 24 ore segnate in numeri romani, in compartimenti a modo di corolla di petali e ordinate in senso antiorario. Agli angoli ci sono quattro tondi, dipinti come cilindri in prospettiva, dai quali emergono quattro teste virili con aureole, notevoli per il senso di profondità volumetrica, che le fa emergere a modo di sculture dipinte, e di spiccato naturalismo, scevro da elementi descrittivi superflui e di forte espressività. Nella loro penetrazione psicologica e il trattamento genuino della realtà attraverso lo studio fisiognomico è possibile riconoscervi l’influenza di Donatello e Masaccio. La collocazione dell’opera a svariati metri di altezza richiese elementi chiari, semplici e di grande forza visiva. L'orologio ha una superficie totale dipinta di 44,9 m² (6,70 m per lato): la sfera circolare con le ore ha una superficie di 27 m² e un diametro di 5,87 m, mentre ciascuno degli angoli, dove sono disposte le teste d’uomo, 4,47 m² ciascuno.
Notizie storico critiche
L’orologio fu collocato nella controfacciata della cattedrale, laddove generalmente, nelle cattedrali del gotico europeo si trova solitamente un rosone di piccole dimensioni rispetto a quello maggiore collocato immediatamente sopra. Nel caso di Santa Maria del Fiore, l’intercapedine tra la facciata e la controfacciata dove fu alloggiato il meccanismo è uno spazio percorribile utile alle manovalanze del trecento quando la facciata era in costruzione.
Il primo meccanismo risaliva ad Angelo di Niccolò, e funziona tutt'oggi secondo l’ora italica, cioè dividendo le giornate in 24 ore, da tramonto a tramonto. L’idea di un orologio spetta forse a Brunelleschi (che era costruttore di orologi). L’affresco fu commissionato a Paolo di Dono (detto “Uccello”) nel 1443. Gli Operai devono aver insistito sulla necessità di realizzare una decorazione il più possibile leggibile affinché l'orologio non perdesse la sua funzione principale, questa potrebbe essere la spiegazione per la quale, in un secondo documento di pagamento all’artista, gli fu richiesto di dipingere di blu il fondo. I risultati del restauro, eseguito tra il 1963 e il 1968 dal Gabinetto dei Restauri della Soprintendenza alle Gallerie, hanno confermato che sotto il colore blu c'è uno strato precedente verde, che avrebbe generato un maggior effetto di tridimensionalità ma, a sua volta, avrebbe causato confusione durante il controllo dell'ora.
L'attribuzione della paternità del quadrante dipinto a Paolo Uccello, riferita dal Vasari nelle sue Vite, non fu comprovata finché, negli anni Trenta del Novecento, Giovanni Poggi non trovò negli Archivi dell'Opera del Duomo la documentazione relativa alla sua commissione. Nonostante ciò, quest'opera ha continuato a destare enormi perplessità, finché in occasione del suo restauro negli anni Sessanta non se ne conobbe l’aspetto originario. La superficie si trovava coperta da altri due affreschi sovrapposti, che hanno preservato quello originale del Quattrocento: un rifacimento del 1669 di Angiolo Gori (momento in cui l’orologio passò a indicare l’ora secondo la maniera moderna, in dodici ore disposte in senso orario), e un altro, del 1761.
L’impianto compositivo trova riscontro nelle opere del Brunelleschi (ad es. la cupola della Cappella Pazzi), e a lui alcuni studiosi attribuiscono infatti l’idea di eseguire questo orologio (Frosinini, Camporeale). Ma il precedente diretto più antico è il tappeto marmoreo duecentesco del Battistero di Firenze con la ruota dello zodiaco (o il suo gemello nella Basilica di San Miniato), che è similmente costituita da un quadrato, con inscritto un cerchio, composto da 24 petali. Peraltro, questo zodiaco è disposto in asse con la navata centrale della cattedrale e, dunque, con l’orologio di Uccello e, secondo la tradizione, era un tempo anch’esso uno gnomone solare, un sistema di misurazione del tempo.
L'attuale lancetta dell'orologio, a forma di stella, non è quella originale, ma risale al restauro degli anni 60. La documentazione del 2 aprile 1443, trovata da Giovanni Poggi nell'Archivio dell'Opera del Duomo, ha fatto pensare agli studiosi che la lancetta fosse una stella cometa. Nel documento si dice che l'artista ricevette l'incarico di dorare una palla per posizionarla nella "punta del raggio". Tenendo presente che in quello stesso anno Uccello stava lavorando al cartone per la vetrata della Natività, in cui si vede la stella cometa di Betlemme, e che la rappresentazione di questo tipo di stelle era ricorrente nelle sue opere, come nella Natività di Karlsruhe e la predella di Quarate, si decise di optare per l’elaborazione di una stella dall'aspetto simile a queste.
Georg Pudelko mise in relazione le quattro teste e le loro modanature con le figure dell'Antico Testamento delle Porte del Paradiso. Pudelko vede anche in queste l'influsso del Masaccio della Cappella Brancacci, pur con una certa eco medievale che, al tempo stesso, lo allontanava dal classicismo del giovane pittore del Carmine e di Donatello. Altra ipotesi ampiamente condivisa è quella di Alessandro Parronchi, che identificò i quattro volti virili con i quattro evangelisti, ritrovando una somiglianza fisiognomica di ciascuno con il suo animale-simbolo, secondo l’interpretazione canonica del cosiddetto “Tetramorfo”. Allo stesso modo, e in relazione alle opinioni albertiane sulla fisiognomica, Umberto Baldini ed Elisa Camporeale hanno visto su ogni volto il corrispondente attributo, stabilendo la seguente disposizione: in alto a destra Giovanni e a sinistra Matteo; in basso, a sinistra, Marco e Luca a destra.
Diversi studiosi, come Georg Pudelko, Federico Zeri e Mauro Minardi, hanno visto nei quattro volti l'influenza del ritratto di Donatello e altri modelli eroici. In particolare, è stata sottolineata la somiglianza di Luca con Abacuc e quella di Marco e la Testa Virile conservata al Bargello (1440 ca.). A sua volta, Stefano Borsi ha accennato all'influenza che devono aver suscitato in lui le figure di santi sulla porta bronzea della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo. Va infine ricordato che Giovanni Poggi nel 1933 suggerì che queste teste potessero essere la fonte documentaria di quelle dipinte da Uccello – e oggi perdute – nella Casa Vitalini a Padova (1445-46). Si sa che questa serie fu molto apprezzata dal Mantegna e da Niccolò Pizzolo, la cui Testa di Gigante per la cappella Ovetari è molto simile al volto del nostro Luca.
Relazione iconografico religiosa
Secondo Hugh Hudson, i quattro evangelisti attorno alla stella della Natività alludono al tempo infinito di Dio Padre e al tempo finito tra la nascita di Cristo e il suo ritorno nel Giorno del Giudizio. Questo spiegherebbe anche il colore blu dello sfondo, necessario per una migliore lettura dell'ora ma anche come rappresentazione del cosmo celeste, in cui sono compresi i quattro evangelisti. Invece l'immagine del cerchio inscritto in un quadrato riconduce all'idea del Dio incarnato, Cristo, e alla presenza del divino – il cerchio – sulla terra – il quadrato. In tal modo, la stella in Oriente rappresenterebbe anche Cristo, la "stella luminosa del mattino" che secondo sant'Ambrogio, per il mistero dell'incarnazione, è la stella che illumina il cammino. A loro volta, le quattro teste angolari, delimitati dal basamento stabile del quadrato, sarebbero in relazione con i quattro pilastri della Chiesa, che Sant’Ireneo di Lione associò ai quattro punti cardinali; la Parola proclamata in ogni angolo del mondo. Una centralità spaziale a cui si somma la funzione di misurazione del tempo, già sia in chiave liturgica che civica.