Descrizione
La tavola in questione è il pannello tergale di un singolare manufatto (09/00153410_0) che si presenta come una tavola centinata opistoglittica, ovvero istoriata su entrambe le facce. Essa imita in tutto e per tutto il pannello frontale (09/00153410_2), e rappresenta una santa a mezzo busto, velata e cinta di diadema, che regge una piccola croce nella mano destra e tiene la sinistra aperta, identificabile in sant'Agata mediante le iscrizioni sullo sfondo.
Notizie storico critiche
Il primo studioso ad indagare il retro della tavola processionale di Sant'Agata è stato Hans Gronau (1928), il quale precocemente vi intravide la mano di Jacopo del Casentino; l'ipotesi, inizialmente rifiutata dalla Sinibaldi e dalla Brunetti (1943) e da Longhi (1948), ha trovato il consenso pressoché unanime degli studiosi, eccetto Cole (1973), che pensa a uno stretto seguace di Jacopo, e Castelnuovo (1983), propenso ad un seguace di Pacino di Bonaguida. La difficoltà dell'opera consiste nel suo piegarsi ossequioso ai modi bizantineggianti e rigidamente ieratici del prototipo duecentesco, cosicché lo stile autentico di Jacopo non risulta appieno. Tuttavia, pur nel rispetto iconografico della venerata immagine, il pennello di Jacopo riemerge qualora ci si soffermi sul chiaroscuro morbido del volto, reso con trapassi delicati di colore, ormai distantissimo – a seguito della rivolzione giottesca – dalla resa calligrafica del Maestro di Sant'Agata, di appena cinquant'anni precedente.
Relazione iconografico religiosa
La tavola di Jacopo del Casentino imita la raffigurazione di sant'Agata espressa nel pannello frontale della tavola processionale, e ne ripete pertanto l'iconografia di derivazione bizantina: la santa, in posizione frontale e in atteggiamento orante, tiene il palmo di una mano aperto mentre con l'altra sorregge una croce. La corona, posata non direttamente sui capelli ma sopra un marphirion (un velo), non indica un rango nobiliare bensì allude alla "corona di gloria" conquistata dalla vergine per mezzo del martirio: accolta da Cristo in cielo, ella può così intercedere per i fedeli che ricorrevano a lei – chiedendo soprattutto d'esser preservati dalla minaccia degli incendi – come indica l'iscrizione latina sul fondo, che riporta la dedica a S[AN]C[TA]E AGHAT[A]E.
L'esecuzione di questo secondo pannello, così fedele al prototipo, attesta ovviamente l'aura di sacralità che ai primi del Trecento aveva già avvolto l'immagine del Maestro di Sant'Agata, oggetto di un culto fervente; ma va collegata anche alla pratica liturgica delle processioni che erano aperte da un chierico che innalzava, con un'asta, l'immagine della santa. Se la parte frontale era dunque rivolta in avanti, e veniva vista dalle folle raccolte lungo le vie o nelle piazze che ospitavano le "stazioni" della processione, la parte tergale si prestava ad esser continuamente guardata dai membri del corteo che si muovevano dietro di essa.