Descrizione
Su uno zoccolo con cornice su cui si alternano ghirlande e teste di cherubini e sovrastato da cornice con ovuli e dardi, si impostano cinque mensole separate da quattro lacunari decorati alternativamente da formelle decorate e da clipei. Nella formella di sinistra si trova un bassorilievo che rappresenta due putti ai lati di un vaso di fiori, in quella di sinistra due putti che suonano tamburelli e cimbalini attorno ad un'ara. Nello sfondo di entrambe le formelle si stende un fitto mosaico a pasta vitrea dorata. Nei due clipei centrali in porfido con profilo marmoreo e sfondo mosaicato in tessere dorate si trovano due teste maschili in bronzo. La fronte e la base delle mensole è caratterizzata da motivi a balaustro con foglie d’alloro mentre le pareti interne sono decorate a tessere di pasta vitrea con decorazione marmorea a racemi fitomorfi. A formare soffitto ai mensoloni sono lastre incorniciate con ovoli, al centro delle quali si dispone una rosetta a rilievo in aggetto circondata da quattro rosette realizzate in tessere di pasta vitrea colorata. Sopra questa base si imposta una cornice architravata aggettante con plinti, decorata con un ornato costituito da valve di conchiglia, fuseruoli, palmette e piccoli soli con testine di putti al centro. Sui plinti si impostano dieci colonne binate in marmo scolpito col fusto decorato con alveoli riempiti in pasta vitrea in oro e colore e con capitelli costituiti da foglie d'acqua che sostengono la trabeazione in cui si alternano vasi ansati a foglie d’acanto disposti su uno sfondo mosaicato. Dietro le colonne si svolge il fregio con putti alati scolpiti in bassorilievo su un fondo a tessere color oro. Il fregio con i putti corre anche sui fianchi del parapetto. Qui, sulla sinistra, i putti suonano un corno semplice ed uno doppio, mentre sulla parte destra essi suonano due corni che formano un arco sotto il quale giocano altri fanciulli. Nella parte frontale i puttini alati giocano a rincorrersi ed a lanciarsi corone su un terreno costituito da un letto di foglie, giunchi, ghiande e bacche. Il loro movimento non si svolge in una sola direzione, perché le figure davanti si muovono verso sinistra e quelle dietro corrono nella direzione opposta, creando un effetto di moto continuo.
Notizie storico critiche
Trovare una definitiva collocazione alla cantoria di Donatello, e, insieme a questa, a quella di Luca della Robbia, una volta ricomposte le parti smembrate dopo che nel 1688 entrambe le cantorie erano state smontate in occasione delle nozze del Gran Principe Ferdinando e di Violante di Baviera lasciandovi solo i mensoloni ed i piani di base, fu all’origine della creazione stessa del Museo dell’Opera del Duomo alla fine dell’Ottocento. La cantoria di Donatello era stata concepita per essere posta sopra la porta della Sacrestia Nuova, o dei Canonici, sul lato sud della Tribuna della Cattedrale. I documenti, riportati dal Poggi (1909) rivelano che il 10 Luglio 1433 gli Operai incaricarono Neri di Gino Capponi di affidare a Donatello la realizzazione del pergamo, indicando anche il soggetto e il prezzo, che per l’inizio doveva mantenersi al di sotto di quello della cantoria di Luca, iniziata nel 1431. I documenti, tra i quali si segnala una interruzione tra il 1434 e il 1435, si susseguono fino al 1438 quando la cantoria è detta quasi ultimata e il 12 ottobre 1439, quando si trova un riferimento assai chiaro alla seconda delle due teste bronzee della parte inferiore. Nel 1440 poi si ha l'ultimo pagamento parziale per l'opera che risulta già collocata al suo posto mentre l’ultimo documento risale al 9 Agosto 1456, quando si parla della doratura delle due teste di bronzo. Come oggi la vediamo, la cantoria è il frutto della moderna ricostruzione e dell’integrazione compiuta tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento e della quale riferiscono Marrai (1907), Poggi (1909) e i Paatz (1952). Dopo lo smembramento del 1688 i rilievi e le colonnine mosaicate furono ricoverate insieme ai rilievi della cantoria di Luca in una stanza dell’Opera, custodite , come ricorda il Richa "con gran cura come tesoro rarissimo nella sala che chiamasi Residenza del Magistrato", mentre le incorniciature furono riutilizzate in alcuni lavori del duomo e del campanile. Vennero ritrovate parti della cimasa nella cappella di San Zanobi ed in una finestra del campanile. La Becherucci (1969), nella sua esaustiva scheda per il catalogo del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, ripercorre le tappe del pergamo smembrato nel corso dell’Ottocento. Più recentemente, questa parte della storia delle cantorie è stata ulteriormente scandagliata ed approfondita in un saggio di Giancarlo Gentilini (1984), che, documenti alla mano, rivela i retroscena e le vicende legate alla permanenza dei due pergami nel Museo del Bargello, la volontà di predisporre inizialmente la loro collocazione nel Salone, l'esecuzione nel 1876 dei primi calchi, sia dei rilievi che delle parti architettoniche, da parte dei curatori del South Kensington Museum di Londra, il futuro Victoria and Albert Museum, e la realizzazione di due grandi cartoni da parte di Agostino e Giovanni Lessi, che sarebbero dovuti servire a progettare la collocazione delle vere cantorie nel salone del Bargello in cui possiamo apprezzare l'interpretazione che veniva fatta delle parti mancanti. Giovanni degli Alessandri, deputato dell’Opera e direttore delle Gallerie, nel 1822 fece, infatti, portare i rilievi di entrambe le cantorie agli Uffizi da dove poi, nel 1867, furono trasferiti nel cortile del museo del Bargello e qui raggiunti dai mensoloni a loro volta rimossi tra il 1842 ed il 1848 per far posto alle nuove cantorie progettate dall’architetto Baccani. E’ a questo punto che si inizia a pensare alla realizzazione di un contenitore che potesse ospitare definitivamente le due cantorie una volta ricomposte ed è così che si assiste alla prima ricostruzione della cantoria di Donatello da parte dell’architetto Luigi del Moro. Questi, che aveva individuato anche due colonnine superstiti allo smembramento in un locale dell’Opera, procedette ad una ricomposizione della cantoria che subì molte critiche in quanto considerata non rispondente ai criteri spaziali donatelliani. Durante la guerra la cantoria viene nuovamente smontata e quando, nel 1959, da parte dell'architetto Sabatini, viene ritrovato un altro pezzo di cimasa, essa verrà rimontata secondo la ricostruzione attuale. Inoltre, agli inizi del Novecento erano state rintracciate al Bargello due teste barbute di bronzo che il Corwegh suppose potessero essere quelle citate dai documenti e relative ai due clipei tra i mensoloni centrali.Non ci sono documenti o testimonianze su quale fosse il soggetto dei rilievi richiesti a Donatello o su chi ne potesse essere stato il consigliere o il suggeritore. Alcuni critici (Brockhaus, 1908 e Belcarres, 1903) ritenevano che per analogia con la cantoria di Luca anche quella di Donatello dovesse avere un'iscrizione e ispirarsi ai salmi biblici, in particolare il 148 ed il 149, dove si possono riscontrare accenni alla danza che nella lunga teoria donatelliana di putti festanti è l'elemento che più caratterizza il soggetto. Questo suggerimento, scartando la supposizione dell'esistenza di un'iscrizione anche sulla cantoria di Donatello, ha in effetti trovato accoglienza da parte della critica che si è incentrata proprio su questo aspetto della danza come celebrazione divina. Si sono cercati riferimenti nelle rappresentazioni medievali della danza (Kauffmann) ma soprattutto nella scultura antica come i sarcofagi ravennati e romani: il sarcofago del cimitero di Pretestato, il frammento del Toro di Cerere a Ravenna, e del Trono di Diana (Milano, Museo archeologico) ma anche nei fregi sui cofanetti d'avorio bizantini che raffigurano putti che danzano suonano lottano e lanciano corone, anche se è stato giustamente puntualizzato come Donatello in effetti non imiti specifici elementi ma reinterpreti in senso analogico lo spirito dell'eredità classica nel suo accento ellenistico. Una interessante interpretazione di una possibile fonte per Donatello è quella della Spina Barelli (1972) che ipotizza che la cantoria di Donatello possa essere stata ispirata dal De Voluptate di Lorenzo Valla, che in quegli anni veniva discusso e commentato, anche nella ristretta cerchia vicina a Cosimo il Vecchio, forse attraverso la mediazione dell'umanista Niccolò Niccoli. Nel fregio con i putti danzanti sarebbe rappresentato il Paradiso cristiano, nelle formelle sottostanti e nelle due teste bronzee invece sarebbero da rintracciare elementi del mondo pagano antecedente la Rivelazione. Nella cantoria verrebbe così trattato il tema del contrasto tra cristianesimo e paganesimo, svolto nel De Voluptate, per ribadire la base dell'ortodossia cattolica ossia che l'unico vero bene è il Paradiso cristiano e che ogni altro tipo di felicità è da considerarsi incompiuta e frammentaria. Ma questo gioco iconologico tra letteratura sacra, mitologia pagana e citazioni archeologiche sarebbe tutta opera del solo Donatello che avrebbe affrontato il tema iconografico senza un preciso rapporto con la committenza. A rafforzare questa interpretazione, del resto già accennata da Muntz (1885), vedendo nella cantoria il “paganesimo che irrompe nel santuario della religione cristiana”, con dei presupposti, però, profondamente diversi, concorre anche la stessa ideazione complessiva dei rilievi su fondo mosaicato per il quale in realtà Donatello utilizza due registri. Nello sfondo del fregio le tessere di pasta vitrea sono collocate regolarmente in alveoli, secondo una tecnica musiva medievale, nello sfondo delle formelle del registro inferiore il mosaico è alla romana in tessere compatte. Questo richiama e differenzia i due piani di lettura iconologica e nello stesso tempo ci suggerisce come, per il registro superiore, Donatello abbia certamente guardato allo sfondo mosaicato della facciata arnolfiana allora ancora intatta nella sua luminosità data dal contrasto tra marmo bianco e mosaico d'oro. Più recentemente, per le due cantorie, è stata avanzata anche l'ipotesi di una fonte greca di origine platonica e pitagorica basata sull'interesse del Brunelleschi per le speculazioni musicali e per l'espressione simbolica: quella di Luca, illustrazione esplicita del salmo 150, a rappresentare l'armonia; quella di Donatello, con la sua danza di spiritelli, a rappresentare la melodia come combinazione successiva di suoni (Del Bravo 1981).
Relazione iconografico religiosa
Il contenuto simbolico della Cantoria e il significato profondo che Donatello ha voluto conferire a questo capolavoro della scultura rinascimentale, sono stati oggetto di molti studi e di interventi critici. La rutilante e festante teoria di puttini alati che pervade la balconata, a confronto con la misurata compostezza dei rilievi di Luca dove si illustrano i versi di un salmo biblico, ha suscitato fin da subito interrogativi sul significato di una simile composizione, sulla presenza di altri elementi di non chiara interpretazione nella parte inferiore della cantoria e sui rimandi all’antichità di cui l’opera è intessuta, anche dal punto di vista decorativo. Se in tempi relativamente recenti (Del Bravo, 1981), è stata avanzata l'ipotesi di una fonte greca di origine platonica e pitagorica basata sull'interesse del Brunelleschi per le speculazioni musicali e per l'espressione simbolica per cui la cantoria di Luca, sarebbe l’illustrazione esplicita del salmo 150 e rappresenterebbe l'armonia e quella di Donatello, con la sua danza di spiritelli, la rappresentazione del la melodia come combinazione successiva di suoni, le interpretazioni più attestate sono quelle che vedono nella cantoria la rappresentazione del mondo cristiano e di quello pagano di cui dà una ricca ed esaustiva lettura la Spina Barelli (1972), secondo la quale Donatello seguiva una traccia indicata in un testo che veniva pubblicato proprio in quegli anni, il De Voluptate di Francesco Valla, ben noto, tra l’altro, nella ristretta cerchia umanistica di Cosimo il Vecchio, dove si focalizzava il tema del contrasto tra cristianesimo e paganesimo per ribadire le base dell'ortodossia cattolica ossia che l'unico vero bene è il Paradiso cristiano e che ogni altro tipo di felicità è da considerarsi incompiuta. Nel parapetto Donatello crea un'ininterrotta unità spaziale solo mascherata dall'uso del doppio colonnato frontale per riprendere in modo blando la rigorosa quadripartizione di Luca. Quanto Luca è ricco di evocazioni musicali tanto Donatello ne è povero, solo la presenza di due corni, uno semplice e uno doppio e altri due che fungono da elementi architettonici e formano un arco burlesco. Diverso poi è l’uso del colore nelle due cantorie: candido il mondo di Luca della Robbia, polimaterico e luccicante quello di Donatello. Donatello pervade il fondo dove si muovono i suoi personaggi di dodici colori, ciascuno isolato nella propria luce di pietra preziosa. Nei salmi 148 e 149, indicati da alcuni studiosi come fonte iconografica per Donatello, non c'è traccia di un simile tipo di luce mentre un simile effetto cromatico è evocato nell'Apocalisse di Giovanni, nella visione della Gerusalemme Celeste, città della quale le basi delle mura sono tutte ornate di pietre preziose: diaspro zaffiro calcedonio smeraldo sardonice corniola crisolito e berillo, topazio crisopasto, giacinto ametista. Donatello sembrerebbe, allora, seguire una traccia sì indicata da Francesco Valla nel De Voluptate, ma "attraverso gli occhi stupefatti dell'anima che entra per la prima volta nella Gerusalemme celeste e vive le gioie visive tattili e olfattive che la colpiscono nel momento ancor umano in cui è accolta dai santi e non ha ancora iniziato l'ascesa intellettuale ai misteri divini". Nella cantoria gli spunti visivi confluiscono in una totalità poetica e per questo tra la cantoria e il De Voluptate del Valla c'è un salto qualitativo come tra visione poetica e visualizzazione concettuale anche se questo non esclude una derivazione iconografica abbastanza puntuale e diretta dal testo. La parte inferiore della cantoria presenta problemi diversi da quelli del fregio, infatti è composta da rilievi e bronzi dipendenti in modo più o meno meditato da rilievi antichi. I putti che afferrano frutti derivano da un frammento del trono di Cerere a Ravenna, quelli a destra con tamburelli e cimbali, dal mutilato trono di Nettuno del Museo Archeologico di Milano e le teste in bronzo sono copie o varianti di modelli antichi forse create per contesti diversi e poi appaiate nella cantoria. Sembra insomma che Donatello ricalchi i procedimenti letterari degli umanisti fiorentini trasferendoli in scultura e che si serva di una fraseologia classica come gli umanisti si servivano di frammenti latini per arricchire i loro testi moderni. La parte in basso appare quasi come una collezione di frammenti e gli effetti cromatici, bianco, rosso, oro, bronzo, hanno una funzione soprattutto decorativa nel generale complesso della tematica del registro superiore che rappresenta il Paradiso cristiano. Le scene laterali alle teste bronzee sono su un fondo musivo alla romana, a tessere compatte, mentre in alto la tecnica musiva è medievale. I putti della parte inferiore sono senza ali mentre quelli del parapetto hanno le ali. I putti senza ali nei rilievi in basso ed il tipo di oro richiamerebbero allora non il Paradiso cristiano ma i Campi Elisi cantati dai poeti, una zona ultraterrena distinta dal Paradiso cristiano. E le due teste allora sono decorazioni così come lo sono anche i putti inferiori, ma questo non vuol dire che non abbiano il loro valore semantico e che pertanto non mirino ad identificare il tema del contrasto tra cristianesimo e paganesimo del De Voluptate per ribadire le basi dell'ortodossia cattolica, ossia che l'unico vero bene è il Paradiso cristiano e che ogni altro tipo di felicità è da considerarsi incompiuta, appunto, frammentaria. Ma questo "gioco iconologico tra letteratura sacra, mitologia pagana, citazioni archeologiche" è tutta opera di Donatello e vien da chiedersi perché le fonti non accennino alla collaborazione con un letterato. I testi che avrebbero potuto ispirare Donatello erano ben noti nella stretta cerchia di Cosimo ed il testo del Valla veniva discusso e commentato in quegli stessi anni. Probabilmente il silenzio intorno ad un mutamento programmatico da parte di Donatello, che ben presto abbandona i singoli pannelli optando per un fregio continuo, rispondeva semplicemente alle esigenze pratiche dei committenti. La cantoria donatelliana, con il fregio del registro superiore e i putti del registro inferiore, non proponeva semplicemente una variante al tema robbiano ma un 'iconografia diversa che in modo volutamente allusivo faceva riferimento al contrasto tra mondo pagano e mondo cristiano che è del tutto assente nella cantoria di Luca. Se il tema donatelliano fosse stato esplicitato sarebbe stato rifiutato dai committenti per non essere in relazione con il programma iconografico comune alle due cantorie e non sarebbe passato inosservato da parte della Chiesa che in quegli anni risiedeva con la corte pontificia a Firenze.